Facile individuare longevità e potenza espressiva dei vini bianchi in territori come il Friuli o l’Irpinia. Meno al confine fra l’Emilia e la Lombardia, in provincia di Piacenza, esattamente a Vigolzone dove l’azienda agricola La Tosa, guidata dai fratelli Stefano e Ferruccio Pizzamiglio riflette il terroir di “un’Emilia che non ti aspetti” quella di un micro territorio geologicamente molto antico e di un’uva della quale i produttori si dichiarano molto innamorati: la Malvasia di Candia. Vitata dalla Val d’Aosta all’estremo Sud delle Isole siciliane, l’Italia continua sorprendentemente a rivelare territori nascosti raccontando storie di vite e uomini arricchendo quel mosaico variegato di vitigni e tradizioni locali rendendone unico il patrimonio enoico. “Ci sono più limiti nella nostra mente che nelle potenzialità della natura”, sostiene Stefano Pizzamiglio nel commentare quanti preconcetti, spesso, ci siano nel mondo del vino, e la meraviglia che ci può rivelare un suggestivo sorso di una varietà e di una zona meno conosciuta ai più. “Una delle migliori uve a bacca bianca autoctona del nostro Paese, la vera alternativa italiana al Gewurztarminer”. Questa la sintesi dell’azienda per Sorriso di cielo Colli Piacentini Doc Malvasia bianco fermo secco con un leggero residuo zucchero, la referenza nata nel 1991 dalla Malvasia di Candia, che si è rivelata, nel tempo, non solo nella sua tipica e riconoscibile aromaticità ma anche per una particolare complessità e notevole longevità. Così la descrive Stefano: “La nostra Malvasia rispetto al Traminer può avere meno struttura, ma è dotata di maggiore acidità e personalità. Si pensava che l’origine della Malvasia aromatica di Candia, come in molti casi per tutte le altre malvasie, dovesse essere greca, invece si è scoperto che è una varietà nata in Italia da più incroci, ovvero dal Moscato bianco e dalla Malvasia odorosissima di Parma. Ha una particolare traccia mediterranea e seppure non di origine nordica si esprime bene sia con il clima fresco che con il clima caldo. Noi siamo molto innamorati di lei, come se fosse una di quelle donne di altri tempi dalla personalità audace. In questo territorio ha trovato il suo clima ideale, sembra proprio casa sua. Al naso esprime sia i terpeni tipici del moscato ma anche spezie e note erbacee, si snoda fra note suadenti e al palato rivela una leggera astringenza, acidità e tanta sapidità”.
(Malvasia di Candia)
A dispetto di certa richiesta che preferisce vini bianchi di pronta beva il produttore rileva come con pazienza si stia arrivando ad apprezzare alcuni di questi anche e soprattutto dopo almeno cinque anni, quando al varietale iniziano a esprimersi anche i terziari. In particolare, la Malvasia di Candia “non fa altro che migliorare intorno al quinto anno. Sentori balsamici, di idrocarburi, terziari e in particolare in geraniolo iniziano a liberarsi dopo. Dalla vendemmia 2018 abbiamo deciso di conservare 450 bottiglie per annata da vendere sei anni dopo per valorizzarne la longevità, sia per Sorriso di cielo che per il Sauvignon. Fra i ristoratori che propongono verticali di circa sei o sette vendemmie del nostro vino c’è Osteria Francescana a Modena. A Massimo Bottura ho dato anche delle bottiglie del 1993. Ho sofferto un po’ ma sono contento. Anche in cantina per più appassionati conserviamo circa 8 mila bottiglie di vecchie annate, che sembrano molte ma in realtà sono poche”. A tal proposito, come si legge dal profilo Instagram dell’azienda a partire dal 17 Giugno La Tosa organizza in cantina delle degustazioni di annate storiche. Una natura generosa e incontaminata quella che circonda l’azienda, fra la Val Nure e la Val Trebbia, su un territorio costituito dalle Terre Rosse Antiche, fra i 150 e i 300 metri di altitudine. Le Terre più antiche dell’Emilia Romagna, queste fra Piacenza e Modena, createsi dall’innalzamento dei lembi di pianura padana che hanno fatto sì che si formassero dei terrazzamenti poco fertili ma ricchi di ferro e manganese. Una terra piuttosto dura racconta Stefano, ma ricca di quell’argilla che favorisce struttura, complessità e carica aromatica alle uve. Grazie a questi aspetti, i fratelli hanno scommesso su una particolare varietà di Malsavia, quella aromatica di Candia, ribaltando con il tempo la tradizione della vendita del vino in damigiane sdoganando la tradizione di vini frizzanti e leggeri: “Siamo sulla stessa latitudine della Langhe, fa molto caldo, i vini ottenuti grazie a questo particolare terroir sono molto concentrati anche se la tradizione da noi era legata alla produzione di vini frizzanti e leggeri venduti in damigiana. Un sistema economicamente buono sì, ma povero di stimoli. Noi siamo stati fra i pochi negli anni ’80 a usare la tecnica del diradamento dei grappoli. Nel 1985 le nostre prime bottiglie erano dei veri e propri vin de garage”.
La storia de La Tosa nasce da un mancato trasporto per gli studi in Medicina, come sperato dal padre milanese dei due fratelli anch’egli medico, e una fulgida passione per il vino e per quella collina piacentina terra natia della madre. “La malattia del vino” così la chiama Stefano, prende il sopravvento all’età di 17 anni quando inizia a frequentare i primi corsi di degustazione. Successivamente, a seguito del coinvolgimento professionale ed emotivo da parte del fratello Ferruccio, e dell’acquisto di terreni intorno la “casa in collina” dove era presente una vecchia cascina chiamata La Tosa l’hobby per la viticoltura e per il vino diventa una professione. Sono anni di studio e sperimentazione, di ricerca e di prove, di errori e di correzione. Tutto al fine di giungere all’obiettivo di dare voce esclusivamente all’uva. Di grande impatto e di notevole formazione le esperienze di Stefano presso Ca’ del Bosco in Franciacorta e diversi viaggi in Francia, come Loira e Alsazia: “La Francia mi ha influenzato nella mentalità insegnandomi il senso del tempo, la concretezza e la stabilità, il lavoro costante sull’espressione della persistenza aromatica. La persistenza per me è fondamentale, è come un ricordo di un viaggio. Per la Malvasia la mia ispirazione erano vitigni quali i Riesling e i Gewurztraminer alsaziani, per approfondire le caratteristiche del Sauvignon sono andato in Loira. Di Ca’ del Bosco ricordo la particolare grinta”. Abbandonata l’iniziale idea di vendere l’uva nel 1985 arriva il primo imbottigliamento: “Nostro padre ci ha aiutati, abbiamo iniziato con mille bottiglie di gutturnio e oggi coltiviamo 19 ettari tutti in biologico”. Tutte le viti dei sei vigneti de La Tosa, Morello, Sorriso, Ronco, Bel Sorriso, Cà di Terra, Bellaura, si nutrono di sostanze organiche e naturali. Otto referenze per otto vitigni coltivati, quattro a bacca bianca e quattro a bacca rossa, autoctoni e internazionali: Malvasia di Candia Aromatica, il Sauvignon, l’Ortrugo, il Trebbiano Romagnolo, la Barbera, la Bonarda, il Cabernet Sauvignon e il Merlot.
La filosofia dell’azienda è ricerca del “buono e naturale” afferma Stefano, che punta al massimo per La Tosa “sulla caratterizzazione dei vini bianchi e continuando a lavorare molto anche sul rosso. Nella nostra piccola valle i vitigni francesi si coltivano dal 1830. Produciamo nove vini fermi e un passito e non abbiamo in progetto altre referenze. Il nostro lavoro è continuare a conoscere ed esprimere il nostro terroir al meglio facendo sì che sia sempre in equilibrio con la natura attraverso un costante studio su quel che riguarda anti ossidanti naturali, fertilità del terreno, lieviti indigeni. Lavoriamo in regime di agricoltura biologica, ma è un punto di partenza c’è da scoprire sempre tanto. Buono e naturale si traduce in pulizia aromatica, eleganza e concentrazione”. Già dal 2006 Stefano Pizzamiglio inaugura l’associazione VisVini, del quale è presidente, volta alla promozione e al coinvolgimento di altri vignaioli sulla produzione di vini il più possibili salubri “senza difetti, piacevoli, e longevi”. L’azienda agricola La Tosa affianca nel piacentino una cucina di territorio che contribuisce a rendere viva l’attività agrituristica: “Ci sentiamo servitori del nostro territorio, siamo grati a tutti, e sono molto soddisfatto se anche poche bottiglie arrivano più lontano. Il mio amico Domenico Clerico mi diceva che avrei potuto coltivare un vigneto nelle Langhe, ma per me stare qui è una sfida continuando ad avere costanza”, conclude il produttore. Vivo è anche il passato all’interno dell’azienda dove la cultura contadina del vino si può apprezzare fra le stanze del museo che raccoglie quasi quattrocento oggetti di un periodo compreso fra Ottocento e Novecento che spazia da torchi e botti. Il tutto arricchito da una preziosa biblioteca che ospita preziosi volumi di enologia, stampe e tavole didattiche.
Azienda vitivinicola La Tosa
Via Chiesuola – Vigolzone PC
info@latosa.it
www.latosa.it
T. 0523 870727