di Simone Cantoni
Punta a settentrione, questa volta, la bussola de “Le birre dell’anima”: rubrica periodica con cui queste colonne sviluppano una “traccia” volta a mettere sotto i riflettori quei prodotti che, per ragioni varie e diverse, meglio interpretano la personalità, il percorso e la filosofia del proprio marchio artigianale di appartenenza.
Prodotti che, perciò, occupano, nella rispettiva gamma e nella stessa percezione del rispettivo autore, una posizione speciale, magari anche emotivamente parlando. Ebbene, questa puntata della serie ci porta nel profondo Nord-Est; esattamente a Bussolengo (comune della provincia di Verona), dove idealmente ci rechiamo per ascoltare la storia della Pils battezzata “1291”, facendolo dalla viva voce del suo “genitore”: Mauro Salaorni, contitolare (insieme a Christian Superbi) e “manovratore in sala cotte” di “Birra Mastino”.
IL BIRRIFICIO
Si appresta a festeggiare il traguardo dei suoi primi 15 anni il marchio veneto Mastino: anni vissuti a velocità variabile; e, a tratti, anche avventurosamente. Di certo agli esordi: quando l’impianto è sistemato in un fazzoletto di metri quadri, integrato nel (e a supporto del) locale con cucina gestito appunto da Salaorni a Mezzane di Sotto, esso stesso un comune del Veronese. Succede però (come in altri casi nel romanzo del movimento artigianale italiano) che la birra piaccia, eccome; e che, allora, passi a un cammino di vita propria: un cammino scandito, in primis, dallo “snodo” del trasferimento in un altro stabile, a San Martino Buon Albergo (sempre Verona), ma dotato di spazi adeguati affinché l’attività imperniata attorno a orzi e luppoli trovi un respiro consono alle proprie potenzialità. Da lì in poi, il ritmo di trasformazione si fa più serrato; in particolare dal 2015, tappa che (con l’ingresso in società di Superbi e del suo bagaglio di esperienze maturate nel settore commerciale e amministrativo) segna l’avvio di una fase di ottimizzazione, anche organizzativa, culminato nel 2021 con un ulteriore spostamento: a Bussolengo, appunto, in un contesto che oggi ospita un reparto d’ammostamento da ben 30 ettolitri, una cantina verticale (la batteria dei fermentatori) da 300 e una orizzontale (i maturatori) da 320.
LA 1291
Già, i maturatori. Perché, pur avendo un catalogo tipologicamente assortito, il cuore di “Mastino” (a proposito: il nome ricalca l’epiteto di Leonardino, esponente dei “della Scala”, che governarono su Verona dal 1262 al 1387) batte, “tambureggia” anzi, senza alcun dubbio per le basse fermentazioni; dunque la scelta di operare attenti processi di lagerizzazione rappresenta uno dei pilastri della modalità di lavorazione che il birrificio si è dato. E qui si arriva, appunto, alla “1291: una Pils, come anticipato; e un’etichetta consacrata essa stessa a omaggiare la dinastia dei Della Scala: in particolare l’anno di nascita di Cangrande, che tra gli esponenti del suo casato, gli Scaligeri, spicca come la figura più nota e celebrata. Ma la storiografia c’entra relativamente con il successo della birra e con l’affetto che Mauro nutre verso questa sua creatura. “Il punto – spiega lui stesso – è che incarna direi perfettamente la ‘visione’ in cui da sempre ci identifichiamo. Ovvero portare sul bancone un prodotto che sia semplice, di facile accesso, ma insieme dotato di personalità (non casuale, non banale) e immediatamente riconoscibile. L’ambizione è stata quella di modellare una Pils tale da soddisfare sia la platea prettamente artigianale (i passionisti delle versioni più palpitanti, negli aromi, di questa tipologia) sia il consumatore medio, che si sta avvicinando alla dimensione ‘craft’ e che va accompagnato. L’obiettivo, che possiamo dire raggiunto, era insomma consegnare al mercato una sorsata olfattivamente ricca e, al contempo, facile nella fruizione: su misura per soddisfare bevitori di diverso profilo”.
L’ASSAGGIO
La 1291 è frutto di una ricetta assai essenziale: in miscela secca si macina solo malto Pils; in ammostamento si opta per una “manovra” di decozione in tre passaggi; in luppolatura ci si affida alle virtù campestri di tre varietà tradizionali come Tettnanger, Mittelfrüh e Saphir; nel tino di fermentazione s’inocula ovviamente un ceppo selezionato di lievito Lager. Risultato? Colore paglierino pieno, di trama ottica dosatamente velata, bordato da schiuma (bianca) allineata al “disciplinare di genere” in copiosità e persistenza. Al naso, ventate di netta e fresca matrice prativa e rurale: crosta di pane appena imbiondita, erba tagliata, fiori freschi, venature speziate (pepe bianco) e fogliacee (tè). Al palato, una sorsata agile (4.8 la gradazione, leggero il corpo), di fattura gentile e rassicurante, protesa verso un finale asciutto e pulito, dal taglio amaricante ben integrato.
ABBINAMENTO, ANZI ABBINAMENTI
Campestre il gusto, campestre il matrimonio in tavola: con piatti come frittate o torte salate alle erbe, con formaggi freschi e lattei (il consiglio è di non spingere sul pedale delle sapidità) o con una ricetta originale e gustosa come il risotto alle ortiche. Spostandoci dal “reparto gastronomia” a quelli degli abbinamenti immateriali, il pensiero – complice il filo rosso legato alla saga scaligera che attraversa l’esperienza di Mastino – corre in questo caso all’orizzonte dei film storici: come, per dirne un paio, “Il mestiere delle armi” (capolavoro di Ermanno Olmi, del 2001); o come la miniserie tv “Maximilian. Il gioco del potere e dell’amore” (del 2017). E in libreria? Si cambia tipo di suggestione; si punta all’ambientazione geografica e sociale, quella del Nord-Est italiano: con alcuni titoli di Massimo Carlotto, quali “Arrivederci amore, ciao” o “L’alligatore” e i romanzi che, di quel personaggio, hanno poi continuato a sviluppare le vicende.
BIRRA MASTINO
Via Caduti sul Lavoro, 11 – Bussolengo (Verona)
T. 327 8463144
commerciale@birramastino.it
www.birramastino.it