di Gianluca Rossetti
Il Naviglio è cambiato, lo sappiamo.
E tutti abbiamo letto le dichiarazioni di Maida Mercuri, anima dello storico Pont de Ferr, ultima roboante chiusura a Milano. Lei sostiene che è meglio chiudere in bellezza, dopo 35 anni di gioie e dolori, in cui il locale ha anche vantato il riconoscimento della agognata stella michelin. La spiegazione si può trovarla nel cambio di abitudine dei clienti, in primis. “Prima, in un ristorante canonico, si andava con delle aspettative, si mangiavano due o tre piatti, si beveva una bella bottiglia di vino, si chiacchierava tranquillamente, si trascorreva un’intera serata, almeno 3-4 ore”, spiega Mercuri. Adesso? “È tutto cambiato: molti clienti vanno in un locale per fare un aperitivo, poi in un altro locale ancora per consumare un secondo aperitivo, quindi magari si recano in un ristorante come il Pont de Ferr per prendere un piatto e poi andare altrove per l’after dinner. Certo, magari oggi si fanno più coperti di prima, ma è tutto spezzettato. Alla domanda “Volete un dolce?” la risposta è “No, andiamo a bere un cocktail”. Diciamo che è diventato tutto più frazionato, e questo fa capire come sia cambiato il mondo della ristorazione: si lavora lo stesso, ma con altri presupposti”, spiega Maida Mercuri.
Ma noi ci chiediamo: è solo questo? sarà l’unico grande nome ad abbandonare?
Il trend in realtà non è dei più beneauguranti, i problemi legati alla gestione di un locale diventano sempre più concreti, e l’impressione degli esperti vede arrivare il punto più critico alla fine di quest’anno, dove tanti ristoratori tireranno le somme e proveranno a capire se sarà ancora sostenibile gestire un’azienda a Milano e soprattutto nella ristorazione. I costi di un locale li conosciamo tutti: affitto (soprattutto se parliamo dei Navigli di Milano o zone similari), luce e gas, che recentemente sono stati un flagello non da poco per tanti imprenditori, costo del personale, che grava come mai prima sui bilanci e infine il costo delle materie prime, che riversano i già citati aumenti dei costi di produzione su chi acquista, come la spietata legge di mercato impone. Le previsioni più nefaste le abbiamo per i locali con scontrini medi molto bassi, e la cosa è facilmente analizzabile: recuperare (esemplifichiamo) 6.000 euro di luce e gas non previsti con uno scontrino medio di 5 euro (pensiamo a quello di un bar), è pressochè impossibile.
Quali sono le soluzioni? Come ci si salva?
Un primo step può essere compiere l’ultimo passo verso la sostenibilità, sprecare meno ingredienti, buttare meno prodotti; poi valorizzare le ore del personale a propria disposizione; formare le persone diventerà sempre più importante, e suscitare emozioni ai propri clienti farà la differenza. Ci vorrà più amore per ciò che si fa, bisognerà tornare ad essere osti e non imprenditori solamente. Passaggi astratti ragionando economicamente, ma che alla lunga sicuramente potrebbero pagare. Anche perché la ristorazione si sa, non è solo numeri, e i numeri di oggi non sono quelli di domani. Questa per noi vuole essere una riflessione per un settore, quello dell’enogastronomia, che ha già sofferto tanto per il Covid-19 e che sembrava rivedere una luce. Un settore che però vede sempre nuove sfide da vincere, nuove insicurezze da superare.