Cosa è?
Se cercate la storia della tour Eiffel qua non la trovate.
E nemmeno i caffè, gli esistenzialisti, le crepes e bla bla bla. Ma se, ad esempio, volete sapere dove si mangia un boeuf bourguignon perfettamente cotto o un soufflè indimenticabile siete nel posto, ops, nelle pagine giuste. E già questo, non so se ci capiamo, dice molto di questa personalissima, intima e colta guida di Parigi. Guida nemmeno, a essere precisi. Una suggestione, più che altro, distillata da chi per lavoro ci ha abitato tre anni in maniera permanente. Un invito a scoprire la città che Hemingway definì una festa mobile, attraverso storie minime, infatuazioni culinarie, passeggiate piene di sorprese, aneddoti storici, indirizzi nascosti. Un invito a lasciarsi andare, insomma. Come nell’amore, nella seduzione, nella passione, anche la scoperta della capitale di Francia necessita della giusta dose di forsennata spensieratezza e di quell’arte dell’abbandono di fronte al desiderio. I cugini d’Oltralpe usano un verbo che noi non abbiamo “per definire l’arte di girovagare con l’unica destinazione di non averne alcuna: flâner. Il vero flâneur è chi cammina per piacere e non per dovere, che si perde volendolo fare, chi pensa che il tempo perduto sia in realtà guadagnato e che l’unica mappa da seguire sia quella capricciosa del suo piacere”. Si chiama dolcezza del vivere, pardon: joie de vivre.
Perché leggerlo?
Intanto, perché al netto di colophon, indice e dedica si tratta di 126 pagine dense dense. Era davvero difficile fare entrare in così poco spazio così tanta conoscenza: topografica, culinaria, storica, artistica, letteraria e musicale (ma l’autore, un giornalista de La Stampa è uno specialista dell’opera). Non vi consiglia di andare al Louvre (“troppo grande, non basterebbe una settimana”), ma in alcune case-museo che già a leggerne viene voglia di verificare su e-dreams se c’è un volo da acchiappare. Qualche indirizzo: Musée Nissim de Camondo (“sembra che il conte Möise sia appena uscito”), in rue de Monceau; casa di Victor Hugo, in place de Vosges; il Musée della Vie romantique, in rue Chaptal… E poi, per i gastronauti sei ristoranti “dove trovare buona cucina francese senza stravaganze e senza obbligarti a fare un mutuo”. Luoghi selezionati dove trovare una spettacolare chateaubriand, il taglio è la testa del filetto “scottata e poi messa al forno” (andate a Le grand Colbert); o la lièvre à la royale, lepre disossata, marinata con aromi e cognac, riempita della sua carne di foie gras e di tartufo “cotta lungamente in una salsa al vino rosso… per cucinarla ci vogliono giornate intere e molta pazienza. Alla fine è un piacere sensuale, erotico anzi diciamolo pure, pornografico” (lo “scandaloso” indirizzo è Au Boascou in rue Rèaumur). Ora basta informazioni: acquistare, sfogliare, scoprire.
Giancarlo Macaluso
Un italiano a Parigi – storia di un amore
Alberto Mattioli
Pagine 143
Gazanti editore
16 euro