di Alessandra Meldolesi
La vita del cuoco, si sa, è fatta di sacrifici: orari massacranti, vita privata azzerata, stress implacabile, soprattutto in questi tempi di social.
Non va diversamente scalando i gradini della carriera, con le responsabilità che crescono, assumono contenuti mediatici e manageriali, mentre le incombenze si moltiplicano. Questo nonostante il food dream che ha stregato non pochi nell’era geologica pre covid, quando lo chef era il nuovo calciatore e il tubo catodico sembrava un forno tecnologico. Ora che la crisi delle vocazioni è conclamata, sorge spontanea la domanda se questi sacrifici siano remunerati a sufficienza. Insomma quanto guadagna veramente uno chef stellato?
Con cadenza periodica escono articoli che fanno i conti in tasca alle teste di serie: i più ricchi sarebbero i Cerea, che possono contare su attività disparate e tanto catering; seguirebbero gli Alajmo, anch’essi attivi su più fronti; Carlo Cracco, ormai star televisiva; Giancarlo Perbellini, Andrea Berton e Moreno Cedroni. A riprova del fatto che il malloppo non si fa nel fine dining, bensì nelle attività correlate, dalle consulenze alle trasmissioni televisive, dalle pubblicità ai locali informali, e che a certi livelli ormai si è chiamati a essere imprenditori del proprio brand, più che romantici poeti di fiorellini eduli e foglie d’oro. Ma c’è chi piazza in vetta Massimo Bottura, con un patrimonio di 200milioni, seguito a distanza da Heinz Beck, Massimiliano Alajmo e Antonino Cannavacciuolo.
(Giancarlo Perbellini e Laura Stopani)
Parliamo però quasi esclusivamente di professionisti a capo della propria azienda. Altro è il discorso per i dipendenti, che a dire il vero nella fascia alta non sono poi così numerosi. Le cifre delle remunerazioni variano ovviamente da nord a sud, a seconda che la stella sia singola, doppia o tripla (categoria dove risulta in senso stretto il solo Riccardo Monco, avendo Norbert Niederkofler e Heinz Beck aperto aziende che fatturano al committente, tipo società interna, mentre Enrico Crippa è socio dei Ceretto), brilli su una struttura alberghiera deluxe, con responsabilità annesse, o su un’insegna solitaria. Fermo restando che lo status di chef patron, agognato dai più per ragioni di indipendenza e libertà creativa, a questi livelli si traduce in vantaggi anche economici grazie al moltiplicarsi delle attività che abbiamo tratteggiato.
Per una struttura che vive di sola ristorazione, l’opinione è che sia difficile superare stipendi come 1.300 euro per un commis, 1.500 per un capopartita, 1.800-2.000 per un pasticciere, 2.500 per uno chef, che possono lievitare leggermente con i risultati economici. Nel caso di stellati il cui fatturato abbia anche altre entrate, poi, le stime vox populi parlano di una forchetta che si allarga da 3.500 a 5.000 euro, con eventuali integrazioni in black. Le conferma Laura Stopani, direttrice di Dimora Palanca, splendido cinque stelle nel centro di Firenze (presso il cui ristorante Mimesi officia un giovane chef to watch, Giovanni Cerroni, non ancora stellato solo per via della recente apertura), che in passato ha operato nello stellato Borgo Santo Pietro e in strutture equivalenti in Puglia. “Parlando di cifre terra terra, per la mia esperienza si va da un minimo di 3.000 euro al mese a circa 5-6.000, sempre netti in busta paga, perché poi ci sono variabili come benefit, appartamento, macchina… Al sud forse leggermente di meno, negli alberghi un po’ di più per l’impegno maggiore in termini di orari dovuto a servizio in camera, colazioni e quant’altro. Parlo di stelle singole; per le plurime credo sia il doppio. Con la stella, laddove manca, capita spesso che le cifre vengano ritoccate verso l’alto, è una cosa naturale. Può essere prevista anche una side letter in materia. Poi ci sono le clausole di stabilità e di non concorrenza, che ai miei occhi sono imprescindibili per trattenere il cuoco nel caso arrivi un premio. L’investimento dell’imprenditore va protetto. E quelle di non concorrenza, che limitano le attività in proprio, diverse dagli eventi esterni della struttura stessa. Le cifre secondo me sono piuttosto stabili, con una maggiore attenzione verso la qualità della vita. Contano di più due giorni liberi che 500 euro secondo la sensibilità corrente, più che mai dopo il covid”.
Il range è di 3.500-5.000 netti anche per Giancarlo Perbellini, il quale oltre che chef, è imprenditore con numerosi ristoranti all’attivo, anche stellati nel recente passato. Più difficile per lui valutare le stelle plurime. “Probabilmente non c’è grande differenza, contrariamente alla Francia, dove i grandi chef sono testimonial del brand, quindi la remunerazione va moltiplicata per due o per tre. Ma in Italia a mio giudizio siamo ancora lontani da tutto questo”. Approfondire resta comunque impossibile: di fatto gli operatori delle strutture ricettive che vantano ristoranti pluristellati hanno la bocca cucita “per policy aziendale”.