di Giorgio Vaiana
Un fiume in piena Roberto Magnisi, direttore delle cantine Duca di Salaparuta.
Che parla senza sosta ai nostri microfoni per raccontare il 2021, l’anno appena terminato, e il 2022, pieno di iniziative e tante novità. Ma facciamo ordine. Duca di Salaparuta è un colosso dell’enologia siciliana, due cantine (Duca e Corvo a Casteldaccia in provincia di Palermo; Florio a Marsala in provincia di Trapani), tre tenute (Etna, Riesi in provincia di Agrigento e Risignolo in provincia di Trapani), oltre 150 ettari di vigneti sparsi nell’Isola, un esecito di conferitori, oltre 10 milioni di bottiglie prodotte e tre marchi storici che hanno fatto (e fanno) la storia del vino siciliano: Corvo, Duca di Salaparuta e Florio. Il 2021 si è concluso da poco e i bilanci per Magnisi sono chiari: “Siamo un’azienda fortunata – dice – Dal punto di vista commerciale nei canali della grande distribuzione chiudiamo con il segno “+”, mentre nel canale Horeca, dopo il periodo di grande crisi del 2019, recuperiamo quanto abbiamo perso”. Ma Magnisi è felice di una cosa. E lo dice con il petto gonfio di orgoglio: “Corvo fa grandi numeri nel canale della grande distribuzione, insieme a Colomba Platino (le due sole referenze di Duca di Salaparuta in gdo, ndr) – dice – ma mi piace sottolineare di come nel canale Horeca siano stati apprezzati i nostri sforzi di riconoscibilità e di artigianalità che abbiamo fatto sui nostri vini. Fino a poco tempo fa la linea Corvo predominava anche nel canale horeca. Oggi possiamo affermare che sia Duca che Florio nel canale horeca sono i preferiti. Segno che i clienti riconoscono il lavoro che abbiamo fatto”. Già, perché da qualche tempo Duca di Salaparuta ha iniziato un restyling dei propri vini. Non stiamo parlando solo di immagine o di nuove etichette, ma proprio nella nuova concezione di fare il vino. “In questi due anni di chiusure abbiamo avuto poche possibilità di raccontarci e di raccontare il mondo Duca – dice Magnisi – Fare il vino in Sicilia è un esecizio complicato. C’è sempre qualcuno pronto a giudicarti. Noi, però, abbiamo messo in campo tutta la nostra competenza. E sì, è vero, facciamo grandi numeri. Ma questo non vuol dire che non ci mettiamo grande attenzione nel fare le cose”. La sensazione è che Duca abbia preso la strada del monovitigno, autoctono o internazionale che sia. Tutto parte con il progetto Irmana (Nero d’Avola, Frappato e Grillo), con grande attenzione alla sostenibilità e con una vendemmia esclusivamente manuale, “per mostrare il nostro concetto di sicilianità – dice Magnisi – Si tratta di vini che nascono e crescono nella nostra Isola. Con il Frappato e il Nero d’Avola nella zona centro-orientale della Sicilia, mentre il Grillo in quella occidentale. E’ un racconto della nostra vigna, un omaggio all’uomo che lavora le nostre terre”.
Duca di Salaparuta, insomma, si proietta verso un cambio di immagine. Che parte ovviamente con il suo vino icona, quel Duca Enrico che è stato, almeno una volta, in tutte le tavole autorevoli dei siciliani, sia a casa che al ristorante, ma anche al di là dello Stretto di Messina. “E’ il vino del rinascimento enologico della Sicilia – dice Magnisi – Ci siamo accorti che di questo vino si parlava solo al passato. Non c’era contemporaneità. Ecco, dal 2019, ci siamo imposti di tornare a far parlare di Duca Enrico. Per noi diventa il vino icona, quello da far uscire solo nelle annate perfette. Torniamo a dare vigore ad una referenza che è stata importante sia per la nostra cantina che per la Sicilia stessa. Un vino che ci rappresenta, che per noi ha un valore immenso, che mostra quelle che sono le caratteristiche di artigianalità che stiamo sempre di più prendendo per mano. Nel 2021 il Duca Enrico ha avuto tantissimo successo, tanto che l’annata 2017 è andata esaurita. Siamo pronti a presentare la 2018, ma ancora non sappiamo quando. Pensiamo ad un evento in grande stile per il rilascio”. Intanto pochi fortunati potranno accaparrarsi una box in edizione limitata che contiene tre annate di questo vino buonissimo: “In cantina abbiamo cominciato a fare un gioco – dice Magnisi – Facciamo delle mini-verticali con i vini Duca Enrico che custodiamo gelosamente. Ed è impressionate notare come ogni annata racconti una storia diversa. Ecco vogliamo coinvolgere i nostri clienti e gli appassionati a percepire le diverse sfumature di questo vino”. Presto si potrà anche andare in cantina a vivere con gli addetti ai lavori di Duca una verticale simile e ammirare una delle collezioni di vino più interessanti: Duca di Salaparuta infatti custodisce oltre 55 mila bottiglie dei suoi vini comprese le annate storiche ed introvabili.
E poi c’è l’Etna: “Se pensiamo che eravamo qui ai tempi di Giacomo Tachis con una tenuta di 9 ettari di Pinot Nero – dice Magnisi – forse possiamo dire di quanto quest’uomo sia stato un genio e avesse intuito le potenzialità di questo territorio. Probabilmente è stato troppo precursore rispetto ai tempi. Ma adesso siamo qui. Stiamo parlando di un’isola nell’isola, un territorio che ha tanto da raccontare. Il Vulcano è passione, personalizzazione del vino. Ma attenzione. Qui ci sono delle uve, Nerello mascalese e Carricante che non fanno sconti a nessuno. Sono uve difficili da lavorare. Per tutti. Anche per i migliori enologi. Fare vini qui è davvero complesso. Ma quando riesci, lo fai con un linguaggio unico, splendido. Noi avevamo voglia di fare qualcosa sul Vulcano che parlasse di territorio e al territorio. E non potevamo che fare una Dop, che porta benefici non solo in termini commerciali, ma anche culturali. Produciamo anche vini Dop Sicilia, Dop Marsala e Dop Pantelleria. Le ultime due hanno un senso perché raccontano emozioni, narrano il territorio, queste piccole zone. La Dop Sicilia è un brand riconosciuto nel mondo, che sintetizza la bellezza della Sicilia stessa, della capacità che ha un’isola di diventare un continente. Non si parla di un Nero d’Avola, ma di tanti Nero d’Avola, così come non si parla di un Grillo, ma di tanti Grillo. Ecco, la Dop Sicilia nobilita quello che è un vino siciliano”.
E poi le novità del 2022. A partire dalla linea “Suolo”, “che mostra la nostra cura del territorio, la puntualità del fare – dice Magnisi – di fare vini da vitigno internazionale o autoctono in maniera contemporanea, di dimostrare di essere al centro di una rivoluzione culturale, di fare una vera e propria rivoluzione culturale. Lo abbiamo fatto con uno Zibibbo interpretato a modo nostro e con un azzardo, il Sauvignon Blanc cresciuto a Riesi. Ora faremo un rosso, un Cabernet Franc, sempre cresciuto a Riesi. Usciremo tra giugno e luglio con l’annata 2020. Perché per me il concetto di internazionale non esiste. Un’uva poi racconta quel territorio. A prescindere se autoctona o meno”. Senza dimenticare il Marsala: “Anche qui stiamo preparando una rivoluzione. Ma ci sarà modo di parlarne”.