di Giorgio Vaiana
All’alba della sua ventunesima vendemmia, Frank Cornelissen lancia un allarme.
Che forse sarebbe meglio definire una riflessione. Il 17 agosto scorso, che tra l’altro è anche il giorno del suo compleanno, ha tagliato dalla vigna i primi grappoli di Moscadella e Malvasia, alcune delle uve che compongono il suo rosato, Susucaru. “E ve lo giuro – dice Cornelissen – non mi era mai capitato di iniziare la vendemmia con così largo anticipo”. Lui l’Etna la conosce benissimo. Fu uno dei pionieri non del luogo, insieme ad Andrea Franchetti e Marco de Grazia ad intuire le potenzialità di questo territorio. E lasciò il suo lavoro sicuro di broker di vini di lusso per prendere “casa” a Passopisciaro. Fu lui che convinse, soprattutto i giovani, ad investire sui vini del Vulcano. E possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che si deve a lui, in gran parte, il successo di questo territorio oggi riconosciuto in tutto il mondo. Produce poche bottiglie di grandissimi vini (quest’anno il suo Munjebel Rosso PA 2018 è stato inserito dalla nostra redazione tra gli imperdibili della Guida ai vini dell’Etna, leggi qui>).
Ma torniamo al capitolo vendemmia: “Stiamo parlando di almeno 15 giorni di anticipo – dice Cornelissen – Anche il Nerello Mascalese, di solito in invaiatura a metà agosto, già i primi del mese dava segnali di cambiamento di colore”. Lui, però, è uno che non si lascia mai spaventare dalle difficoltà: “Se ho paura? – dice – In realtà bisogna prendere le cose per quello che sono, ma bisogna di certo fare delle riflessioni”. E ripercorre un po’ gli ultimi dieci anni di sua permanenza sul Vulcano: “Sto parlando da appassionato di vini e non da produttore – dice – Nel 2008, 2009, 2010, i grandi baroli avevano 13,5 massimo 14 gradi. Oggi hanno un grado in più. Ecco la stessa cosa la vedo nei nostri vini. Sta un po’ succedendo da noi quello che è avvenuto in Piemonte, ma credetemi, ho come la sensazione che questo fenomeno da noi sia stato molto accelerato proprio negli ultimi dieci anni. Stiamo vivendo sempre più situazioni estreme, che ti mettono in difficoltà”. E allora che fare? “Noi produttori dobbiamo avere una grande attenzione e prontezza, dobbiamo prendere decisioni difficili e anche, come posso dire, anomale, visto che non c’è storicità su queste situazioni. Stiamo vivendo un cambiamento serio che modificherà anche la Doc. Bisognerà rivedere alcuni aspetti dei nostri vini”.
Decisioni che Cornelissen dice, “dipenderanno dalla sensibilità di ogni produttore, perché ognuno sa cosa vuole sentire nel proprio vino, o maggiore corposità o più eleganza. Ma saranno delle vere e proprie sfide”. Per Cornelissen, “l’Etna è un territorio che si sta confermando tra le grandi zone vitinvinicole italiane, ci sono i faretti puntati sul Vulcano, le grandi aspettative. E questo richiede a noi produttori di stare particolarmente attenti e di fare il meglio e di dare il meglio”. Ma c’è ancora molto da fare: “Siamo solo all’inizio dello sviluppo – dice – Rispetto a quello che c’era qui 40 anni fa, io vedo un futuro roseo, positivo. Anche dopo la pandemia i numeri promettono bene. Lo ripeto: dipende da noi produttori. Qui abbiamo tutto: un vitigno, il Nerello, paragonabile al Nebbiolo, una cultura unica, vigneti secolari”. Poi Cornelissen parla delle sue prospettive: “Stiamo lasciando affinare in bottiglia i nostri vini per più tempo prima di immetterli sul mercato – dice – E questo ci permetterà di dare al vino maggiore complessità. Un investimento che volevamo fare da tanto tempo e che facciamo adesso dopo aver realizzato un magazzino sotterraneo. Lo faremo con tutti i nostri grandi rossi”.