di Michele Pizzillo
Del vino Pinot grigio prodotto in Italia e in modo particolare nel Nordest, il bianco secco è il più conosciuto in tutti quei paesi dove sono presenti i nostri vini.
Non tutti, probabilmente, sono a conoscenza che questa versione del Pinot grigio è stata proposta per la prima volta sessant’anni fa dall’azienda Santa Margherita, che pensò di produrre un vino nuovo, moderno, elegante e quindi vinificando in bianco le uve Pinot grigio che invece danno un vino di colore ramato o “buccia di cipolla”. E, così, per una sorta di ritorno agli albori ma, anche, alla “purezza” del Pinot grigio, oltre che per rispondere alle richieste dei consumatori britannici, tedeschi, statunitensi e canadesi – mercati di riferimento per la doc delle Venezie visto che assorbono oltre l’80% di export destinato a questi Paesi – che cercano e bevono rosé, il Consorzio delle Venezie – che rappresenta gli operatori della filiera produttiva di Pinot grigio doc di Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Provincia Autonoma di Trento, una delle aree a vitigno unico più estese al mondo –, attraverso uno studio iniziato già nel 2017 e guidato da Diego Tomasi del Centro Ricerca Viticoltura ed Enologia (Crea-Ve) di Conegliano, ha deciso di investire prima di tutto nella ricerca associata al Pinot grigio e, in particolare, alla sua versione rosata o ramata. Una tipologia che a tutti gli effetti rappresenta la storia e la tradizione vitivinicola di questo vino-vitigno legato a doppio filo al Nordest italiano sin dalla fine dell’800. Qui, fanno rilevare dal Consorzio delle Venezie, viene prodotto l’85% del Pinot grigio nazionale e il 43% di quello globale, con circa 2 milioni di ettolitri (pari a 260 milioni di bottiglie), da una superficie vitata di 24 mila ettari (13.400 ettari in Veneto, 7.100 in Friuli Venezia Giulia e 2.840 nella sola provincia di Trento).
Lo scopo del progetto portato avanti dal Crea-Ve e finanziato dalla Regione Veneto, è quello di studiare e confrontare le proprietà ampelografiche di 17 cloni di Pinot grigio provenienti da diversi areali produttivi di Italia, Francia, Germania e Serbia: forma e compattezza del grappolo, forma dell’acino, spessore della buccia, proprietà coloranti (quantità di polifenoli e antociani), resistenza alla botrytis, sono tutte informazioni qualitative fondamentali per la progettazione del nuovo vigneto e per la gestione dei processi di vinificazione, in particolare nelle fasi di ammostamento e macerazione. Uno studio di grande interesse scientifico e divulgativo, su due annate, che permetterà non solo di selezionare attraverso l’analisi dei diversi campioni e delle micro-vinificazioni i cloni di Pinot grigio migliori per la produzione del “rosato”, ma di definire anche una vera e propria “identità del colore” da applicare pure in etichetta, scegliendo quindi il termine più coerente rispetto al risultato ottenuto – rosato o ramato – nell’ottica di cogliere le migliori opportunità e tendenze di mercato.
Un tema molto attuale, tant’è che il Consorzio delle Venezie Doc è riuscito ad ottenere dal Ministero delle Politiche Agricole, l’emanazione del decreto – e la successiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del testo con la prima modifica ufficiale al Disciplinare di Produzione – che, senza mettere mano alla base ampelografica, permetterà di riportare in etichetta i termini “rosato”, “rosé” o “ramato” riferiti alla specifica tipologia e che a tutti gli effetti formalizza una tipologia già esistente. E, aggiunge il Presidente del Consorzio di tutela doc delle Venezie, Albino Armani “è ormai evidente il trend di forte crescita del rosato. Però, voglio evidenziare che la nostra attenzione verso la tipologia esula da qualsiasi moda del mercato o del momento. È un lavoro del tutto indipendente iniziato già agli albori della nostra doc, che vanta basi molto solide e importanti studi preliminari sull’aspetto enologico e viticolo. La ricerca sarà utile ai nostri produttori di Pinot grigio per poter fare un grande rosato e categorizzarlo in maniera precisa e scientifica, soprattutto ora che abbiamo ottenuto l’approvazione della modifica del disciplinare che ci permette finalmente di formalizzare una categoria che da sempre è nostra”. Nel frattempo, aggiunge Tomasi, il Crea ha provveduto ad allestire un altro impianto sperimentale con lo scopo di confrontare 13 diversi portinnesti tutti innestati su Pinot grigio. Il cambio climatico, le tecniche agronomiche, i caratteri dinamici del suolo e le attese qualitative, obbligano ad una attenta e forse diversa scelta del portinnesto. Le verifiche fisiologiche e di espressione genica, dovrebbero portare in poche stagioni a nuovi consigli per il viticoltore”.