LO SCENARIO
Roma insiste sull’ambito aziendale, il paletto che metterebbe in difficoltà le cantine sociali. Un incontro a metà settembre per tentare una via d’uscita. Ma la strada è molto in salita. E l’assessore…
Tre ipotesi per la Doc Sicilia
Che fine ha fatto la Doc Sicilia? La pausa estiva non è servita a far fare passi avanti all’iter per la nascita della denominazione che ha praticamente occupato in questi mesi il dibattito sul futuro del vino siciliano. Siamo ad un punto fermo.
Il comitato nazionale vini, ovvero il parlamentino che decide su nuove Doc e modifiche di quelle esistenti (nelle more che vengano adottate le nuove norme in materia) attende ancora una risposta dalla Sicilia. Il nodo è quello già raccontato alcune settimane fa da Cronache di Gusto: l’ambito aziendale. In pratica per tutti quei vini che sono frutto di un uvaggio (o blend) ogni produttore dovrà rispettare certe percentuali di produzione di determinati vitigni autoctoni altrimenti potrà far fregiare col marchio Doc Sicilia solo i vini monovitigno. Un paletto grande quanto il mondo perché l’ambito aziendale va applicato su ogni singolo produttore, o viticoltore, se si tratta di cantina sociale. Ed in questo modo verrebbe penalizzata soprattutto la produzione di vini bianchi delle cantine sociali. La Sicilia ha chiesto intanto di far applicare l’ambito aziendale alle cantine sociali e non ai singoli viticoltori ma con risultati nulli; e poi ha tentato di proporre quattro vitigni autoctoni per i bianchi ma Roma ha detto chiaramente che può accettarne solo un paio. E quali, visto che la Sicilia ha un patrimonio vitivinicolo vasto che comprende certamente più di due vitigni molto diffusi sul territorio? Tra l’altro se passasse l’ambito aziendale così come vuole la legge, una delle cantine sociali siciliane più famose sarebbe costretta a poter rivendicare la Doc solo su un quinto della produzione.
Il comitato nazionale vini presieduto da Giuseppe Martelli è stato chiaro prima delle ferie. “La legge va rispettata e l’ambito aziendale prevede al massimo due vitigni per i bianchi e due per i rossi”. A nulla sono valse le rimostranze informali di chi ha ricordato che per la Doc Alto Adige questa regola non è stata applicata perché, replicano i più informati, alcuni anni fa le norme erano diverse.
A metà settembre è previsto un tavolo tecnico tra le organizzazioni professionali e Assovini (che volgiono la Doc Sicilia) e l’assessorato regionale all’Agricoltura. In quella sede si dovrà assumere una decisione. C’è molta incertezza. Lo stesso assessore all’Agricoltura Titti Bufardeci ha chiesto tempo ma sa bene che la Doc Sicilia occupa uno dei primi punti della sua agenda al rientro delle ferie. A luglio l’unica dichiarazione che si è concesso Bufardeci: “Non mi piace che qualcuno imbottigli Nero d’Avola lontano dalla Sicilia, è ingiusto per il nostro territorio, è un impoverimento per la nostra regione”. Ma Bufardeci sa bene che questo problema è irrisolto oggi e lo sarebbe anche domani con l’eventuale varo della Doc Sicilia. Si profilano così tre scenari: 1) la Regione e le organizzazioni professionali accettano l’imposizione del parlamentino del vino e quindi l’ambito aziendale che penalizzerebbe proprio le cantine sociali le quali oggi vivono anche grazie all’Igt Sicilia, nome che sarebbe costretto a cambiare col varo della Doc Sicilia. 2) I promotori della Doc Sicilia lanciano una sfida politica chiedendo una modifica delle norme al ministro Galan e mobilitano i parlamentari nazionali per abbattere il paletto dell’ambito aziendale. 3) I promotori rinunciano alla Doc Sicilia e lasciano tutto così com’è. Con le Doc e le Igt già esistenti. Una Caporetto per chi in questi mesi ha sostenuto la Doc Sicilia. Cioé: molto rumore per nulla.
C. d. G.