Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 23 del 23/08/2007

LA CUCINA DEGLI ALTRI Il tempio giapponese della buona cucina

22 Agosto 2007
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    LA CUCINA DEGLI ALTRI

kyoto_hp.jpgSi chiama Taiwa e ha la sua sede a Kyoto la scuola per gli chef più famosa del Paese. La cronaca di una lezione per la preparazione di cibi siciliani

Il tempio giapponese della buona cucina

Solcando la soglia della scuola di cucina Taiwa di Kyoto, ho trovato intatta tutta la professionalità che mi sarei aspettata di incontrare piuttosto in un’università. La Taiwa School, famosissima in tutto il Giappone, è uno dei templi mondiali della buona cucina e offre un corso base biennale per la “modica” cifra di 3 milioni di yen (circa 14 mila euro), mentre con altri corsi successivi ci si può specializzare nell’arte culinaria di molti paesi del mondo.

Ha sede in un grande edificio a cinque piani al centro della città e ospita anche numerose serate a tema, frequentate per lo più da ex-alunni che, ormai cuochi affermati, vi tornano periodicamente per degustazioni e dimostrazioni. Ogni due mesi il folto gruppo locale degli chef di ristoranti italiani (oltre cento nella sola Kyoto) si riunisce per un seminario sulle cucine regionali. Sono stata invitata al seminario riguardante la Sicilia pochi giorni prima di lasciare definitivamente il Giappone dove, per conto del ministero degli Esteri italiano, per un anno ho insegnato italiano presso l’Università Ritsumeykan di Kyoto.
I secoli di grandi tradizioni gastronomiche che i giapponesi si ritrovano alle spalle, non impedisce loro di apprezzare e imitare le altrui abilità. In questo come in altri campi, hanno la capacità di assorbire, avidi come spugne, ogni nuova idea che, abbinata a una perizia spesso eccezionale, consente loro di raggiungere ottimi risultati. Così accade che, diversamente dal resto del mondo, in Giappone la stragrande maggioranza dei proprietari di ristoranti italiani non siano nostri connazionali emigrati, ma giapponesi, molti dei quali hanno lavorato in Italia per anni, e conoscono bene la nostra cultura e la nostra lingua.
Glo_heian-jingu_di_kyoto.jpgli estenuanti esercizi di meditazione Zen hanno dotato di resistenza non comune i giapponesi che trovano assolutamente normale lavorare per dodici o più ore di fila, e impegnare i pochi ritagli di tempo libero in attività di vario tipo, spesso finalizzate comunque alla loro professione. Il numero dei pendolari inoltre è altissimo, e moltissime persone si sobbarcano tre o quattro ore di treno ogni giorno. Molti ristoranti non hanno giorno di chiusura, e per permettere a tutti di partecipare, il seminario alla Taiwa School è iniziato intorno alle 23,30, dopo che gli chef avevano concluso la loro giornata di lavoro e si è protratto fino alle due del mattino. Grande protagonista della serata il tonno, di cui un esperto ha illustrato tipi di taglio, zone di pesca, prezzi e qualità. Ogni chef ha anche ricevuto un fascicolo con tutte queste informazioni, e grandi pezzi di pesce hanno cominciato a circolare in vassoi nella sala per essere ispezionati dai cuochi.
Non mi è stato troppo difficile illustrare le caratteristiche principali della tradizione gastronomica siciliana giacché molti ingredienti, soprattutto quelli a base di pesce, come la bottarga, il nero di seppia o i ricci di mare, non sono affatto sorprendenti agli occhi dei giapponesi che però ne fanno un uso assai diverso. Un po’ più complicato invece per i giapponesi apprezzare a pieno la dieta mediterranea, che utilizza tipi di frutta e verdura che nei loro supermercati sono avvolti e venduti a uno a uno e presentati come gioielli. Il loro ideale di modestia (shibui) tende a esaltare il poco appariscente e certo mal si attaglia ai dolci siciliani, trasposizione culinaria del barocco spagnoleggiante. Né possono loro facilmente immaginare le conseguenze che le invasioni di greci, romani, arabi e spagnoli hanno avuto sulla cucina isolana. I giapponesi hanno anch’essi nei secoli molto attinto in ogni campo alla cultura dei gaijin (“gente di fuori”), principalmente cinesi, ma sempre per propria deliberata scelta: fino all’arrivo degli americani dopo la seconda guerra mondiale, nel proprio territorio non avevano mai subito invasioni o ingerenze come è invece avvenuto ai siciliani.
«La prima scuola di cucina del mondo sorse nella Siracusa antica – ho detto – e Archestrato di Gela fu autore di una straordinaria “guida Michelin” dell’antichità». L’uditorio era attentissimo e mi ha anche rivolto numerose, anche se timide, domande. Il cous cous, il sale, il pangrattato, i formaggi, l’estratto di pomodoro, tanti di loro avevano già qualche informazione flash sulla nostra cultura gastronomica e c’era persino qualcuno che aveva assistito alla mattanza dei tonni a Favignana.
In chiusura, a cura di uno chef famoso, splendide dimostrazioni pratiche effettuate con l’ausilio di grandi schermi: è sempre un vero spettacolo guardare la grande maestria e disinvoltura con cui i cuochi giapponesi si muovono in cucina. Una manualità che certamente è stata affinata nei secoli dalla pratica secolare della cerimonia del tè. Dulcis in fundo, le degustazioni: tonno al pomodoro, tonno in agrodolce e via dicendo. Mancavano le polpette di tonno, ancora poco conosciute anche in Sicilia; l’ho fatto notare sottovoce allo chef prima di andare via, ma gli ho anche detto che ciò nulla aveva sottratto per me alla squisitezza (materiale ma non solo) della serata.


Marcella Croce