Considerazioni sul Marsala arrivano questa volta da Roma, a darcele è Paolo Trimani, titolare di una delle cantine più antiche della Capitale. Poche bottiglie nei suoi scaffali, ma quasi tutte tipologie superiori. “Una Doc cannibalizzata dagli altri vini dolci e dalle mutlinazionali dei superalcolici. Mentre gli italiani ancora si chiedono cosa ci sia nella bottiglia…Eppure io lo abbinerei a…”
“Soppiantato
dai distillati”
“Oggi ci si domanda cosa ci sia dentro una bottiglia di Marsala. E’ difficile in questo momento identificare la qualità di questo vino. Ci sono domande a cui il cliente non sa rispondere. Ci si domanda persino se sia un vino dolce o cos’altro. E pensare che abbiamo in negozio un tabellone del 1900 dove il Marsala è segnato a 6, 8 lire al litro, segno di un tempo d’oro in cui veniva comprato anche sfuso”, Paolo Trimani, titolare dell’omonima enoteca, una delle più antiche e importanti di Roma, ultima generazione di una famiglia di vinai dal 1821, dà la sua testimonianza sulle poche tracce che del Marsala rimangono nella Capitale, di cui quasi scomparse sembrano essere, come racconta, quelle del Fine e delle varianti in crema e aromatizzate.
Nella Capitale il Marsala ha ancora un posto ?
“Abbiamo sempre avuto il Marsala e continua ancora oggi ad avere il suo posto. Persino in negozio abbiamo un tabellone del 1900 dove il Marsala è prezzato 6, 8 lire al litro. Segno che era un vino che veniva apprezzato e bevuto, i romani lo compravano. Se pensiamo al Sassicaia, siamo nel 1968, in confronto è l’altro ieri. Poi è venuta l’epoca del Marsala all’uovo. Quando ho iniziato a lavorare, agli inizi dell’89 ho trovato il Marsala alla banana, oltre che alla fragola, al caffé, quasi tutti conoscevano quella roba lì e quasi nessuno, il grande Vergine o Soleras. Oggi sui nostri scaffali teniamo per lo più tipologie superiori, anche se non se ne vendono molte”.
C’è qualcuno che le compra?
“Le comprano i francesi. Stranamente sono tra i pochi che hanno una opinione sul Marsala e il Marsala è tra i pochi vini che chiedono”.
Che tipo di assortimento avete?
“In media una ventina di bottiglie quasi tutte etichette Florio e qualcuna Pellegrino. Non è una vendita importante in termini quantitativi, il Marsala rispetto al totale dei vini che teniamo è una percentuale piccolissima. Non aiuta il periodo che stanno vivendo comunque tutti i vini dolci da fine pasto o da abbinamento alla pasticceria o ai formaggi stagionati o erborinati, come il Sauternes, il Porto, lo Cherry, il Madeira. Non vivono un periodo di favore dal punti di vista delle preferenze dei clienti”.
Come mai?
“Sono vini difficili da abbinare. Nell’ambito di una cena sono i primi che saltano. Oggi si compra vino fermo da pasto o spumante. La categoria dal Moscato d’Asti al più antico del Marsala Vergine è una categoria che soffre. O c’è un servizio o al bicchiere nei locali che lo propone oppure sono le tipologie difficili da vendere, per una questione di sazietà o sobrietà o di economicità. Se si rinuncia a qualcosa si rinuncia a quello che può invece essere facilmente sostituito con un distillato. Anzi il Marsala si può dire che rischia di essere completamente sorpassato dai distillati e da altri vini fine pasto, tipo dolce, più facili, quelli non da ossidazione, come passiti e vendemmie tardive”.
Perché i distillati vanno forte?
“Si, molto e grazie al marketing. Questo anche agli investimenti in immagine da parte delle multinazionali. Il Marsala invece non riusciamo a comunicarlo”.
Potreste proporre nuovi modi di consumo, come ha fatto il Consorzio di tutela del Marsala che lo ha proposto recentemente come base per cocktail.
“Si ma prima si deve decidere cosa vendere. Vendere il Vergine o il Marsala da abbinare in miscela con succhi di frutta, non è la stessa cosa. Se dovessi scoprire che vendere il Fine o qualche tipologia affine al posto di un Rum per fare il Marsala Libre con una Cola, io per carità sul Marsala Libre ci faccio pure la vetrina, però dopo cosa rispondiamo quando ci dicono che non si vende il Vergine?”
Ma è così difficile comunicarlo?
“So che si vendono 30 milioni di Moet Chandon perché se ne fanno 3 milioni di Dom Pérignon, lo Champagne a 25 euro perché c’è quello a 200, è più semplice costruire un prodotto quando c’è una eccellenza pregiata, più difficile che si sviluppi questa logica con il Marsala. Bisogna supportare gli enotecai, decidere la tipologia del prodotto su cui puntare e soffermarsi su questa per qualche tempo. Ricordo una degustazione che facemmo per valorizzare il grande vino da invecchiamento, c’erano i millesimi delle annate migliori della Florio, un Vergine del ’39, del ’44 e ’48 e la gente è rimasta stupita, a bocca aperta”.
Cosa potreste fare allora per riaccendere il consumo di questo vino?
“Se avessi una ricetta la presenterei al Consorzio. È difficile in questo momento identificare la tipologia di qualità del Marsala. Il consumatore si chiede cosa ci sia nella bottiglia. Una domanda a cui non sa rispondere. E poi è un vino dolce o cos’altro? Dovendo partire dall’abc non si può fare l’esperimento con bottiglia di 50 euro. Però è anche vero che se non si spendono cifre importanti che valorizzano storia e territorio di Marsala non si assaggerà mai e non si capirà mai il vero Marsala”.
Un suggerimento le viene in mente?
“Uno sì. L’abbinamento del Marsala con il cioccolato. Prendo spunto dal caso del Cherry. È un vino oramai totalmente scomparso. Però adesso qualcosa si sta facendo per rivalutarlo e lo si sta proponendo in abbinamento con il cioccolato”.
Si può parlare allora di futuro per il Marsala?
“Io vedo il successo che sta avendo il Brunello di Montalcino, grazie ai contributi Ue che ha portato al rilancio dell’agricoltura e malgrado i guai recenti. Siamo di fronte ad una percentuale di rendimento che nessun tipo di investimento finanziario avrebbe potuto mai dare, quante sono le zone che posso dare questo risultato? Il Marsala potrebbe seguire lo stesso percorso che hanno fatto a Montalcino, ma mi rendo conto che siamo in un territorio totalmente differente, con sue logiche e suddivisioni”.
Però c’è chi per fare più qualità è uscito persino dal disciplinare.
“Conosco benissimo la storia di Marco De Bartoli. Con quello che ha fatto con il Vecchio Samperi e rimasto da solo, purtroppo non c’è stata una emulazione, una imitazione o un superamento da parte di altre aziende. Le tipologie del vino sono soggette alla fluttuazione dei consumi, difficile investire ed impegnarsi poi con il vino Marsala come ha fatto De Bartoli. Certo con un grande vino rosso investire è più facile”.
Manuela Laiacona