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Il personaggio

Calogero Statella, enologo, ma non per caso. “L’Etna e i miei vini che sanno di passione”

22 Aprile 2021
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Figlio d’arte, Calogero Statella ha iniziato a sentire il profumo del vino e a masticare tannino durante i corsi di sommelier che sul finire degli anni Ottanta si svolgevano al Poggio Ducale, locale sotto i riflettori della Catania dell’epoca, dove al tempo lavorava il papà nel ruolo di Chef & Sommelier. Oggi, sul versante Nord del Vulcano, Famiglia Statella, azienda da lui condotta insieme alla moglie Rita, è un messaggio in bottiglia che guarda al futuro omaggiando il passato. “A dieci anni dicevo che volevo fare il mio vino. Oggi mi sento un falegname di paese che fa mobili pregiati”. Così Calogero Statella riassume il suo excursus professionale, lontano da logiche commerciali e da “nouvelle vague” dei gusti del momento. Famiglia Statella produce vini da agricoltura biologica non per moda ma per “scelta etica e di sostenibilità”, animati da un’idea essenziale. Quella di “un vino sano e integro. Le mie analisi le faccio assaggiando l’uva direttamente in vigna”. Dopo i riconoscimenti alle sue diverse interpretazioni di Contrada, come l’Etna Rosso Pettinociarelle 2016 e l’Etna Rosso Pignatuni 2018 fra gli imperdibili di Cronache di Gusto, Famiglia Statella è pronta per la messa in commercio di un Etna Doc Rosato, assaggiato in anteprima in vasca, e per l’acquisto di una nuova vigna destinata alla produzione di Etna Bianco sul versante Nord del Vulcano.

In realtà, è una storia che parte da lontano quella di Calogero, il quale inizia la sua produzione dopo aver acquistato la sua prima vigna perché: “Prima di essere produttore volevo essere viticoltore. Proprio come i vigneron di Borgogna, territorio che visito ogni anno e dal quale sono fortemente influenzato”. Formatosi negli Novanta alla scuola di San Michele all’Adige come enotecnico, il “bambino che voleva fare il suo vino” ha proseguito gli studi universitari in Viticoltura ed Enologia a Milano, seguendo gli insegnamenti di Attilio Scienza, e avendo come compagni di viaggio nomi altisonanti dell’enologia italiana come Pieropan e Jermann. Diversi i viaggi studio, dal Chianti alla Franciacorta, ma soprattutto Barolo e Borgogna. In particolare quest’ultimi, non solo ne hanno accompagnato formazione e visione, ma in parte ne riflettono l’eleganza e la profondità nella sua attuale produzione. È nelle Langhe, nella Barolo di Elio Altare, mentore e maestro, che il giovane Calogero conosce Marc de Grazia. L’incontro si trasforma nell’occasione giusta per iniziare a concretizzare quella lontana idea: “Con papà ho sempre pensato di investire qui, l’incontro e il lavoro con Tenuta delle Terre Nere è stato come un segnale. L’inizio di un sogno, che con il tempo, si sarebbe concretizzato”.

Un segno del destino, una “chiamata” che lo ha portato ad abbandonare un buon lavoro, ma forse non troppo soddisfacente, per sposare con più entusiasmo un neonato progetto a Calderara Sottana. Era il 2007, anno zero, praticamente, dei vini etnei. Anni in cui aziende pioniere come Tenuta delle Terre Nere iniziavano la loro attività di “Pigmalione” sul suolo vulcanico. Dopo nove anni di impegno e di successi, nel 2016 il progetto di vigneron etneo, prende forma. Questa è Famiglia Statella: la storia di un bambino che voleva fare il suo vino. “Oltre che una soddisfazione personale, è un vino di famiglia per la famiglia. Con l’etichetta Famiglia Statella ho voluto dare un messaggio che un domani sarà delle mie figlie, ma ho voluto anche fare un omaggio a papà e a nonno Calogero che un tempo, lavorando nelle campagne di Agira, produceva vino per autosostentamento, ovvero come elemento nutrizionale da consumare per riscaldarsi nelle fredde giornate in campagna”. Sia nel vigneto più giovane, come quello di Pettinociarelle, che in quello più vecchio di Pignatuni, dove vi sono piante ad alberello che rendono massimo due chili per pianta, il lavoro è perfetto equilibrio tra tecnica, passione, e ambizione: “Non voglio fare il migliore vino dell’Etna. Ma il migliore vino in assoluto”.

(Pettinociarelle)

Ambizione data da una profonda conoscenza del territorio. Difatti, il bambino diventato vigneron è convinto che sia il Nord il versante migliore del Vulcano in termini di produzione di qualità del vino, semplicemente per motivi scientifici: “Più un suolo è antico, più si potrà produrre un vino pregiato, si tratta di condizioni biotiche, legate alla fertilità del terreno. L’area di Pignatuni – prosegue – è fra le poche come San Lorenzo e Calderara costituta da suoli derivanti dall’Etna Ellittico, ovvero dal “vecchio” Vulcano, in un periodo di tempo in cui raggiungeva 4000 metri di altitudine, quasi sessantamila anni fa”. Quella mezzaluna che oggi rappresenta l’area dell’Etna Doc è una zona giovane, esuberante, e desiderosa di crescere come un’adolescente. Una zona attraente dove l’identità sembra ancora oggi tutta da costruire. Una giovane con un passato comunque importante, consapevole della propria potenza, ma anche della propria potenzialità, e cosciente della sua personalità. Se un tempo il paragone con la Borgogna sembrava necessario, ad oggi, secondo Statella non ha più motivo di esistere: “Seppure mi confronti con la Borgogna oggi il nostro territorio non ha bisogno di paragoni. Non teme confronti”. E sul futuro della Doc Etna, l’idea è altrettanto chiara: “Il futuro dipende da noi, dalle singole scelte aziendali, da chi opererà sul territorio, su chi crederà nelle sfaccettature dei diversi versanti. Ci saranno aziende che continueranno a mantenere alta la qualità del vino e dell’Etna, chi è arrivato dopo piantando ovunque non si sa. Di questo aspetto meno romantico ne risentirà l’Etna, ma non le aziende che puntano sulla qualità. Riguardo la denominazione, sono favorevole alla Docg, è la naturale conseguenza di un percorso di una Doc che sta prendendo sempre più consapevolezza di ciò che è. Un messaggio per un territorio di riferimento, un’occasione per capire che ormai siamo una realtà a livello mondiale”.

Non solo bianchi, rosati, e rossi, i vini del Vulcano. Si parla spesso anche di diverse sperimentazioni, ma Famiglia Statella non guarda a tecniche “particolarmente impattanti”.
Nessuno spazio a vini dolci, o vini bianchi macerati: “Il carricante non avendo aromi primari, non si presta alla macerazione, anzi, le catechine presenti sulle bucce, lo espongono a ossidazione. Se si ha una storia riconoscibile perché coprirla? Interessante è invece il filone degli spumanti. Lo spumante mi piace, è un vino tecnico. Quelli dell’Etna hanno appeal e un loro mercato. La zona si presta per una questione di terroir, e con un giusto affinamento, corrette tecniche, si possono produrre spumanti in grado di competere con altri che già godono di buona reputazione. Il Blanc de noirs lo vedo molto bene. Come Famiglia Statella non è nelle nostre intenzioni produrne, ma se altre aziende me lo dovessero proporre, accetterei”. La vigna, l’uva, e il clima dettano la legge della quotidianietà. Il resto lo fa la mano e il cuore dell’artigiano. Questo, nel caso di Famiglia Statella, porta alla declinazione più borgognona di quello che lui stesso definisce il suo Pemier Cru, ovvero Pignatuni, e sfumature più baroleggianti nel Pettinociarelle. Finezza e potenza da una parte, struttura e profondità dall’altra. In anteprima le degustazioni da vasca dell’Etna Bianco 2020 e del primo Etna Rosato 2020 in uscita fra poche settimane, e gli assaggi di botte, tonneaux di secondo e terzo passaggio, di quel vino che seppur pronto lo si preferisce far riposare.

Etna Bianco 2020
Da vigne giovani di contrada Calderara curate personalmente da Calogero Statella ma non di proprietà, profuma di ginestra e note tufacee. In bocca, pieno e di struttura, è verticale, molto salato, e colpisce per la sua lunghezza. Un sorso assolutamente identitario, autentico figlio della Contrada di riferimento.

Etna rosato 2020
Dalle vigne di Pettinociarelle, novità in uscita nelle prossime settimane, dall’assaggio di vasca si presenta con nuance provenzali, molto profumato data anche la presenza del nerello cappuccio, con una tendenza spiccatamente fresca e di buona persistenza. Acidità al palato smorzata da una leggerissima grassezza data da una fermentazione malolattica parzialmente svolta. Un ingresso nel portfolio personale e sul mercato che non mancherà di far parlare.

Pettinociarelle 2020 – Pettinociarelle 2019
Da vendemmia 2020 ha un carattere vivace con sfumature che richiamano la balsamicità e la profondità di Contrada Rampante. Cardamomo e altre spezie, congiuntamente al colore, lo avvicinano parecchio a un profilo da Barolo, invece, per la vendemmia 2019. Entrambi assaggiati dalle botti, seppur già giovani e pronti, continuano il loro affinamento dei diciotto mesi previsti dall’enologo.

Pettinociarelle 2018
Annata adesso disponibile, è un vino territoriale. Fragrante e pulito rispecchia l’artigianalità del produttore e il suo profondo rigore.

Pignatuni
L’Etna rosso da vigne vecchie, è quello che il produttore definisce il “Premier Cru” della Famiglia. Struttura ed eleganza quasi borgognone sono evidenti, anche dagli assaggi di botte, delle precedenti vendemmie. A conferma di quelle nuance austere e di grande potenza gusto olfattiva, già riscontrate e premiate da Cronache di Gusto per l’annata 2018, come precedentemente menzionato.