LA CURIOSITÀ
Massimo Lentsch, manager bergamasco che ha investito sull’arcipelago, punta anche sull’antico vitigno Corinto, con cui realizza l’unico rosso dell’isola
La nuova frontiera
del vino:
Lipari
Manager bergamasco, che in poco più di un anno è riuscito a re inverdire di vigneti gli angoli più vocati dell’Isola.
Questo bianco, alla sua seconda vendemmia segna a tutti gli effetti la rotta di una produzione che rispecchia le complesse caratteristiche di un territorio unico a sé e valorizza le cultivar autoctone. Una scelta viticola che vuole andare al di là della Malvasia delle Lipari o dei passiti per proporre invece vini fermi da pasto, di estrema freschezza, longevi, dove vi sia la massima valorizzazione delle uve di origine. Per ora solo 6.000 le bottiglie prodotte. Ma non solo di bianco si veste il progetto di Lentsch. Altro tesoro che riporta dal passato è il rosso. Lo fa con il Nero Ossidiana, ad oggi l’unico rosso di Lipari, blend di Nero d’Avola e Corinto. Vitigno antichissimo, quest’ultimo, che qui ha trovato una sua dimensione espressiva che lo rende diverso dalle altre varietà presenti nel Mediterraneo, con un acino più piccolo ed una buccia più spessa e su cui la cantina punta a farvi un vino in purezza. Una novità in fase di sperimentazione che guarda al vino che facevano i contadini liparoti. Anche di questa etichetta poche bottiglie, 6.000 circa.
Piccole eccellenze nate in pochi ettari, sette e mezzo. Fazzoletti divisi tra due contrade poste in zone estreme dell’isola. Una piana a 300 metri di altezza battuta dai venti, che guarda Filicudi e Alicudi in contrada Castellaro e un lembo di terrazze a strapiombo affacciate sull’isola di Vulcano in contrada al Cappero. Scenografie di natura mozzafiato con uno stile ben preciso: eccellenza nella qualità, rispetto dell’ambiente, valorizzazione della risorsa umana.
A darglielo è il sistema ad alberello, pratica di coltivazione più adatta alle condizioni estreme del luogo, suggerito e seguito dallo stesso Salvo Foti, produttore de i Vigneri. “L’alberello ci dice chi comanda: la Natura. Non ci interessa la qualità, vogliamo l’eccellenza – dice Foti -. E questo è l’unico sistema che ci consente di ottenerla qui nel massimo rispetto dell’ambiente. Con una resa di poco meno di un chilo di uva per pianta. Gli impianti sono nati da una selezione massale viticola sulle varietà trovate in questi campi. È un sistema che comunque impone un grande impegno in termini di lavoro e competenza”.
L’uomo è infatti l’altro grande protagonista dei vini di Tenute di Castellaro, come conferma Lentsch: “Ho deciso di investire qui anche per recuperare un’arte che ho scoperto andata persa. Nessuno più coltiva la vite. La viticoltura è stata letteralmente abbandonata. Dovevo allora riportare le risorse umane dell’isola a dedicarsi a questa pratica. C’è stata diffidenza all’inizio. Adesso però sono riuscito a formare un gruppo di uomini che seguono le mie vigne e che si sentono parte del progetto. Stanno facendo un grande lavoro. Sono i miei quattro moschettieri”. Con una squadra al cento per cento liparota Tenuta di Castellaro punta quindi tutto sul territorio. “Lo faccio anche per contribuire e dare un futuro all’economia di quest’isola che in questo periodo sta soffrendo. Il vino può rappresentare l’attrazione principale assieme al turismo. Chi lo compra si porta a casa un pezzo di territorio”. E più che mai in questa realtà può essere vera e letterale questa espressione se si guarda al progetto di costruzione della cantina che partirà a breve. Totalmente immersa nel terreno, coperta da vigneti autonoma e autosufficiente dal punto di vista energetico, segue la filosofia del minor impatto possibile sull’ambiente. “Chi viene a visitarci – dice Lentsch – deve vedere e godere dei soli vigneti, della bellezza di questi paesaggi, unici al mondo”.
Manuela Laiacona