Augusto Reina, proprietario della Florio parla del Marsala e delle sue difficoltà. “Territorio sì, ma è il marchio la nostra forza. Cose da cambiare? Esca dalla cucina e l’immagine è da migliorare. La Doc invece non è una priorità”. E sul Porto: “E’ in declino”
“Il brand prima di tutto”
Se c’è un marchio storico per antonomasia è il loro. Se c’è un’azienda leader nella produzione di vino liquoroso in Italia (e tra le prime in Europa) è la loro. E poi con la Florio sono anche i primi produttori di Marsala, la Doc più antica di Sicilia su cui abbiamo deciso di accendere i riflettori. Perché non ci piace l’immagine di questo vino e non ci convincono tante altre cose. Eccoci così con Augusto Reina, presidente di Duca di Salaparuta, l’azienda che è anche proprietaria della cantina marsalese. Oggi produce un milione e mezzo di litri di Marsala, non sono pochi, di cui l’80 per cento di tipologia Superiore, quella con almeno due anni di invecchiamento, centomila litri tra Superiore Riserva e Vergine, la tipologia più pregiata con almeno quattro anni di invecchiamento e, ma solo per il mercato estero, 200 mila litri di Fine, la versione meno pregiata, quella che fa solo un anno di invecchiamento, stessa tipologia che altre cantine producono per l’industria come conservante di carne in scatola e merendine. Numeri, primati e storia sono con la Florio. Si capisce bene perché non si può non interrogare uno come Reina (il presidente del consorzio di tutela è Giuseppe Ingargiola, dipendente della Florio) per capire se davvero il Marsala è in agonia oppure no, se ha qualcosa da rivedere oppure no.
Quanto è importante il Marsala oggi per la Florio?
«Copriamo il 60 per cento del mercato. Per noi è un marchio talmente importante e fortissimo che sotto il ”cappello“ Marsala Florio rientrano tutti gli altri vini da dessert».
Non crede che la notorietà del brand abbia superato quella del vino?
«In una indagine che abbiamo condotto, il Marsala nell’immaginario del consumatore è Florio e viceversa. Quando la gente va a comprarlo pensa Florio anche se poi compra altre etichette».
Un altro primato. E voi che progetti avete per il Marsala?
«Progetti strategici che portino ad un nuovo approccio sul mercato con un’immagine del Marsala come aperitivo o come dessert. Il feel rouge che ci dovrà portare verso il futuro è il brand. Avere un marchio forte è la strategia vincente».
Il cambiamento del disciplinare della Doc, da molti esperti ritenuto superato, ha un posto in questa strategia?
«Lo considero in seconda o terza battuta. La Doc? Certo è importante ma cambiare il disciplinare in fondo non ci interessa. Anche perché all’estero è inutile parlare di territorio. La territorialità è un concetto molto lontano. La Sicilia neanche sanno dove sia. Poi in generale si parla di vino cileno, francese, italiano, ma oltre questo non si va, non si identificano i vari territori. Forse possiamo parlare di territorialità nel nostro Paese».
Insistiamo: sarebbe favorevole o no ad un cambiamento?
«C’è bisogno di valorizzare il Marsala, sono d’accordo, ma la Doc non è il problema. Bisogna cambiare l’immagine. Poi chi è il consumatore che sa cosa è una Doc o che sappia la differenza tra una Doc e una Docg? Solo una nicchia. Noi invece come Florio guardiamo al mercato, e cerchiamo di capire cosa vuole».
Come?
«Intanto fare uscire il Marsala dalla cucina. Il Marsala piace. Infatti in una ricerca che abbiamo condotto il 30% dei consumatori usa il Marsala in cucina, il 70% lo tiene in cucina e lo beve. Poi si dovrebbe proporlo come un’alternativa ai limoncelli. È il momento per farlo dato che il boom di questi liquori si è esaurito. E il Marsala in questo contesto potrebbe essere visto come una novità. Certo è che dobbiamo ridargli credibilità, valorizzarlo. E noi dobbiamo essere protagonisti di questa strategia».
E magari guardare al Porto?
«Non direi. Il Porto è in declino. I dati dicono che le vendite sono in flessione. Ha avuto il suo momento. È in diminuzione persino in Francia ed in Inghilterra che sono i suoi mercati storici. E poi non farei un paragone, sono vini completamente diversi».
Ci racconta il suo primo approccio con il Marsala?
«Quando ho acquisito la Florio è stato un approccio d’interesse, poi però conoscere il vino mi ha dato sensazioni indescrivibili. Bere un vino invecchiato e sentirlo ancora vivo è sorprendente. Se tento di capire cosa succede dentro questo vino non trovo risposta, è un mistero. Nessuno lo sa. È impossibile per qualsiasi altro vino resistere così a lungo. Che sopravvive alla nostra stessa vita. Unico».
F. C.
(hanno collaborato Laura Di Trapani e Manuela Laiacona)