L’INIZIATIVA
Gianfranco Marrone, esperto di semiotica commenta il Manifesto dell’Ottimismo lanciato da Cronache di Gusto e il ruolo dell’enogastronomia. “Da noi essere pessimisti è più facile”
“Il male del Sud?
Poca volontà”
“Per essere ottimisti c’è bisogno di volontà”, lo diceva Pascal e lo sottolinea Gianfranco Marrone, professore ordinario di Semiotica, Semiotica della cultura e Semiotica della pubblicità all’università di Palermo, dove è anche coordinatore del dottorato di ricerca in Design, espressione e comunicazione visiva. Con lui si parla del “Manifesto dell’Ottimismo”, e spiega che c’è ancora molta strada da fare.
Cosa ne pensa del “Manifesto dell’Ottimismo”?
“È un’iniziativa ottima, lodevole, ma forse ovvia. I principii sono indiscutibili, ma dovrebbero essere i punti di partenza di qualsiasi attività quotidiana. E invece se si sente l’esigenza di sottolinearli, vuol dire che siamo lontani dal pensare positivo”.
Si può riuscire a dare l’idea di un Sud che non piange su se stesso?
“Essere ottimisti dipende dalla volontà, e qui da noi ce ne vuole di più. Siamo abituati ad una passiva accettazione. Ed essere pessimisti è molto più semplice”.
E da un punto di vista economico, come vede il futuro?
“Siamo il paese del “tiriamo a campare” fin quando va bene, senza pensare al dopo. Ad esempio, per adesso i vini siciliani vanno benissimo, sono di moda, ma se si entra in un supermercato sono quasi spariti dagli scaffali, i prezzi non sono competitivi e non si sta pensando ad una politica economica per il futuro”.
Lei è ottimista?
“Sono positivo ma con grandi difficoltà, e più facile non esserlo”.
Che può dire dell’enogastronomia siciliana. La performance di questo settore può indurci ad essere ottimisti?
“I vini hanno avuto un indiscutibile salto in avanti, un’ubriacatura di successo che deve essere gestita bene. Si pensa troppo spesso solo alle responsabilità del produttore, sottovalutando quelle del consumatore, che deve essere critico nei confronti di ciò che gli viene proposto. Viviamo un sottosviluppo critico. E la rivoluzione enologica non va di pari passo con quella gastronomica e della ristorazione. Bisogna lavorare sulla cultura del consumo”.
Aurora Pullara