di Andrea Camaschella
E finalmente tornammo a bere una birra in un pub, in compagnia, anche in Piemonte. Il resto d’Italia, con tutte le difficoltà del caso aveva riaperto il lunedì, a noi è toccato aspettare il sabato.
Una settimana strana. Intanto perché il tempo si è di nuovo un po’ rallentato: agli albori del lockdown ho rivissuto quella sensazione che provavo da bambino, quando il tempo sembrava fermo, infinito e il Natale o il compleanno o qualsiasi altro evento cui tenevo in qualche modo non arrivava mai. Sensazione che da adulto si è letteralmente rovesciata, con i foglietti del giorno che si strappano dal calendario come i petali della margherita per “m’ama non m’ama” e qualsiasi evento non è già arrivato, è già passato. E così è tornato ad essere durante questa prova di arresti domiciliari, il tempo è volato e tante cose che mi ero prefisso di fare in questi mesi sono rimaste da fare. Poi però la luce in fondo al tunnel, la possibilità di uscire e di frequentare un locale, di sedermi a bere e non portarmi in giro il caffè a mo’ di “tu vuoi fare l’americano”.
In questa lunga – ben 5 giorni – attesa ho rosicato un po’ pensando ai pub sparsi per l’Italia, che conosco e amo frequentare, pronti a spine aperte, senza avere la benché minima speranza di andare a trovarli. Confini chiusi e nessuna autocertificazione che tenga: per ora si resta all’interno della regione. Mi sono arrabbiato scoprendo che in molti casi i pub sono rimasti semi deserti: perché chi aveva la possibilità di godere di tanto ben di dio non ne avesse approfittato resta una domanda a cui sarà importante dare una risposta, ma non ora, per ora guardo al bicchiere mezzo pieno: almeno non si sono creati assembramenti con conseguenti multe, problemi e chissà cos’altro.
Torniamo al mio sabato novarese, appuntamento al Covo (nome evocativo, soprattutto di questi tempi) a due passi da casa mia. Man mano che mi allontano da casa incrocio sempre più persone, ogni locale ha il dehors con tavoli distanziati, massimo due persone per tavolo, camerieri con mascherine, tavolo dedicato ai sanificanti e insomma tutte le disposizioni di distanziamento sociale e sanitarie sembrano puntualmente rispettate. Giusto in un locale noto che un tavolo è sguarnito di sedie e quello accanto è un po’ affollato con 4 persone sedute piuttosto vicine. Arrivo al Covo e mi aspetta Marco Bonfà, ci eravamo visti agli inizi del lockdown, quando mi portò sotto casa le birre del suo birrificio, Diciottozerouno (Oleggio Castello, NO), ma erano parecchi mesi che non avevamo occasione di chiacchierare tranquillamente, davanti ad una birra. E finalmente, dopo mesi di bevute solo in bottiglia o in lattina, riecco la birra in fusto, sgorgare dalle spine.
Già la birra – a dire il vero le birre – è tornata, per un paio di ore a fare il suo dovere, di bevanda socializzante, sottofondo ideale tra una parola e l’altra, tra una discussione tra i tavoli, con la capacità che solo una birra ha di farsi assaporare restando in secondo piano, senza chiedere troppa attenzione. Nella fattispecie mi sono bevuto la Lefty, la Golden Ale di Diciottozerouno, una birra con tenui note erbacee e floreali, qualche sentore fruttato, un passaggio in bocca preciso, corto, secco, bilanciato tra i sapori (dolce, amaro e lieve sapidità) con un finale secco. Insomma, fresca e piacevole da bere, ottima appunto per chiacchierare in santa pace. Anche se santa pace col distanziamento sociale, la mascherina che ti aspetta appena ti rialzi dal tavolo o devi andare in bagno, l’odore di sanificanti che ci circondano e questo senso di sospensione mentre si aspetta di capire se si torna alla normalità – e nel caso quando – o se è stato solo un sogno e si torna chiusi in casi. Di sicuro nulla ci porta a pensare che gli ultimi tre mesi siano stati solo un incubo dal quale ci siamo svegliati. E in ogni caso, con i locali costretti a lavorare – nella migliore delle ipotesi- al 50% delle loro possibilità, la strada da percorrere è ancora lunga e faticosa.