“E’ necessario che recuperi la sua dimensione storica rispetto al territorio, al vitigno, al sistema vigneto e ai sistemi di vinificazione”
“Troppe ombre
sul Marsala”
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
di Guido Falgares*
Primo tra i vini d’Italia – in ordine di tempo – a vedersi riconosciuta, con una normativa (D.M. 15 ottobre 1931, sottoscritto dai ministri Acerbo e Bottai), la “Delimitazione del territorio di produzione del vino tipico di Marsala”. Nel dopoguerra, a motivo di una legislazione dissennata, la sua immagine è stata distorta e confusa con altri liquorini deboli, aromatizzati a fantasia, prodotti e manipolati comunque ed ovunque.
Nel 1969 fu emanato il Decreto Presidenziale che sancì il “Riconoscimento della denominazione di origine controllata del Vino Marsala”. Oggi – il Marsala – ha una legge tutta sua (n. 851 del 28/11/1984 Nuova disciplina del vino Marsala). Prima della Doc il territorio entro il quale il Marsala poteva essere prodotto, invecchiato e imbottigliato arrivava fino al fiume Oreto (Palermo) e verso sud fin quasi a Sciacca. Oggi la zona tipica comprende gran parte del territorio trapanese, con esclusione dei Comuni di Alcamo, Pantelleria e delle Egadi; ventuno comuni, però, sono sempre tanti. E´ un territorio viticolo troppo ampio: la superficie dei terreni iscritti all´albo dei vigneti a Doc è di ha 33.499,001, dei quali ne vengono utilizzati circa 2500/2800 (vedi dati Camera di commercio di Trapani). Denominazione è il nome geografico di una zona viticola particolarmente “vocata”, con peculiari caratteristiche del “terroir”.
E cioè: “La qualità di un vino è il risultato di una complessa interazione tra le condizioni climatiche, le caratteristiche pedologiche ed il comportamento del vitigno”.
Un grande Marsala può originare solo dal connubio di alcuni elementi:
1°) Il territorio: i terreni vocati
a) Lungo la costa a nord della città di Marsala, a fianco delle saline, nelle contrade denominate “Birgi” e “Spagnola”: si ottengono uve ad alto contenuto zuccherino e con maggiore tendenza ossidativa, adatte per un elegante e raffinato marsala vergine. Il Marsala migliore era appunto prodotto dai “biggialori” (oggi gran parte del territorio ha subito una trasformazione: fabbriche, aeroporto etc.).
b) Nella fascia costiera del comune di Marsala ed entroterra della provincia di Trapani si ottengono uve con una minore tendenza ossidativa, più adatte per un Marsala conciato.
c) Nella fascia costiera del comune di Petrosino (costiera inferiore ai 50 metri s.l.m.), nella contrada denominata “Triglia”: si possono ottenere uve con buona tendenza ossidativa e più adatte per un Marsala vergine.
d) Altra zona importante è quella collinare che va quasi fino a Salemi (costa collinare con esposizioni sud-est, sud-ovest); si ottengono uve con minore tendenza ossidativa e più adatte per produrre un Marsala conciato.
2°) I sistemi di allevamento della vite: certamente l´alberello marsalese e una più alta densità di impianto sono fattori importanti per un grande vino Marsala
3°) Le uve:
a) Il grillo (a grappolo spargolo): una minore produttività, una maggiore capacità di surmaturazione, un più alto contenuto zuccherino, una minore acidità e una maggiore tendenza naturale ossidativa; e quindi un vino base a più alta gradazione alcolica che richiede una minore aggiunta di alcole (Marsala vergine)
b) Il catarratto: una maggiore produttività, una minore capacità di surmaturazione, un più basso contenuto zuccherino, una minore tendenza naturale ossidativa e quindi un vino base che richiede una maggiore aggiunta di alcole (Marsala conciato)
4°) Un ottimo distillato di vino
5°) Anni ed anni di affinamento in botti di eccellente rovere.
Pensare di poter fare Marsala di qualità con qualsiasi sistema vigneto e in qualsiasi territorio e in 29 tipologie diverse è un non senso. Forse avrebbe più senso, volendo mantenere l´attuale disciplinare della Doc Marsala, ridurre drasticamente il numero.
Con la legge n.1069 del 4 novembre 1950 le tipologie erano 4:
1) fine (amabile) invecchiato 1 anno
2) superiore dolce
3) superiore secco invecchiati 2 anni
4) vergine invecchiato 5 anni”
Io mi permetto di proporne tre:
1°) Marsala Fine, ambrato, dolce, (min. un anno)
2°) Marsala Superiore, oro, semi-secco, (min. due anni)
3°) Marsala Vergine millesimato, oro, secco, senza o con una minima aggiunta di alcol (min. 10 anni)
Infine, da ultimo e non per ultimo, voglio porre alla vostra attenzione la necessità che il Marsala recuperi la sua dimensione storica rispetto al territorio, al vitigno, al sistema vigneto e ai sistemi di vinificazione. Voglio sottolineare questo aspetto perché i viticoltori hanno visto pagata la propria uva ben al di sotto delle quotazioni medie regionali e nazionali degli anni (uva grillo: 12 centesimi di euro per chilo; uva che viene conferita alle cantine cooperative per produrre il vino base Doc Marsala e che naturalmente trattengono una percentuale del 20%). Ed è questo un grave problema, perché crea un disarmante squilibrio, un malessere sociale (che, peraltro, interessa tutto il comparto agricolo). Le ragioni, secondo me, sono da ricercare nella quantità e nella qualità di uva prodotta che deve inserirsi in un mercato dove non sempre è ricercata la qualità del vino da produrre.
La produzione di vino Marsala ha, infatti, un rapporto, produzione di qualità/produzione totale, abbastanza basso:
a) il trend di produzione del vino Doc Marsala certificato: è passato dai 100.000 hl del 2004 ai 71.000 del 2008.
b) i maggiori produttori di vino Marsala e in particolare della tipologia “fine” sono anche i maggiori acquirenti dell´uva necessaria.
Queste aziende vinicole hanno colto un successo economico portando a casa un Marsala “fine”, con un rapporto costo/ricavi molto basso, ma impostato sull´enorme numero di bottiglie vendute; e ciò senza alcun beneficio per il territorio, o per essere più precisi con il beneficio di pochi e con il malessere di molti che non potranno raccogliere l´invito delle Istituzioni a spendere. Tutto ciò nonostante il mercato mostri più interesse alla spesa, ancorché esigua, dei molti. Ora nel mercato globale la concorrenza interessa soprattutto i prodotti di qualità medio-bassa. In uno scenario vitivinicolo in continua evoluzione solamente il passaggio ad una vitivinicoltura di qualità può dare maggiori garanzie per il futuro e per una completa e remunerativa commercializzazione del prodotto. Ciò comporta un maggiore impegno del vigneron sul piano sia professionale che economico.
E´ necessario pertanto:
1°) La convinzione che sono la terra, il clima, il carattere e la cultura degli abitanti a imprimere al vino la sua personalità.
2°) Un´attenta ricerca dei terreni più vocati e il recupero dei vecchi vigneti.
3°) Lo studio dei vitigni, analizzandone le caratteristiche, monitorandone le espressioni, selezionando i cloni più adatti ai diversi terreni.
4°) Che lo studio, il monitoraggio, la selezione debbano trovare un armonico punto d´incontro di un terreno e di un clima con una marza e un portainnesto che a loro volta devono essere compatibili fra loro.
5°) Il progressivo abbandono delle forme di allevamento volte alla quantità.
6°) Che le uve siano surmature, ad alto contenuto zuccherino, in modo da darci un vino base con il 15/16% in volume di alcole etilico.
7°) Un ottimo distillato di vino per portare il vino Marsala dal 16% al 19% in volume di alcole etilico (l´aggiunta di alcole diluisce la struttura, gli estratti).
8°) L´affinamento per anni in botti di eccellente rovere.
9°) Attribuire una identificazione ed una caratterizzazione di origine e tipicità del territorio facilmente riconoscibile dal consumatore.
10°) Perché tutto questo possa essere riconosciuto e remunerato, che il rapporto produzione di qualità/produzione totale inverta il suo trend negativo verso un vino Marsala di grande pregio.
Ecco perché auspico un ritorno viticolo, vinicolo e normativo – che ci riporti, almeno, per il “Marsala vergine” alla purezza delle origini e cioè un Marsala secco con una minima aggiunta di alcol o anche senza. Un prodotto, certamente più impegnativo sul piano dei costi, ma indubbiamente più remunerativo per il contadino e per il produttore. Il salto di qualità dovrà essere collettivo. I vitivinicoltori dovranno immettere in “questo vino della tradizione” idee, gusto, confronto. Ma attenzione: manca di senso storico chi pensa di continuare a dirigere le proprie energie economiche e professionali verso un prodotto “il Marsala fine” che “comunque va” . Il punto dolente arriva nel momento in cui queste realtà produttive, incalzate dal malessere sociale del territorio, vorranno fare il salto di qualità e non ci riusciranno, perché sono prive dell´appartenenza che dovrebbe distinguerle. Oggi a Marsala le ombre sono tante. Sembra di assistere a quel classico gioco utilizzato dagli psicologi, nel quale i protagonisti dei due gruppi si trovano prigionieri di un apparente dilemma, cooperare e salvarsi (l´unica strada possibile) oppure competere ma morire, prediligendo quasi sempre la seconda strada, quella che conduce alla cosiddetta interdipendenza negativa, quella del vita mea mors tua. Utilizzando una frase latina potremmo anche dire: “Aenatores boni viri, senatus autem mala bestia”. Come definire un fenomeno come quello sopra esposto?
Un solo termine: “familismo”, un nome fittizio che richiama però alla difficile realtà dell’Italia meridionale, la quale proprio per questo presenta vistosi tratti di arretratezza sotto il profilo economico e sociale, arretratezza che poi si estende anche alla qualità della produzione e della commercializzazione. Secondo questa prospettiva quindi, ogni tentativo e iniziativa riguardante l´investimento di risorse ed energie in beni collettivi da realizzarsi tramite uno sforzo organizzativo comune e spontaneo, sarebbero fuori dall´orizzonte delle possibilità. Si impone, allora, l´avvio e lo sviluppo di un confronto serrato tra i diversi attori della filiera. Tale confronto deve portare all´individuazione di un percorso virtuoso, finalizzato proprio a coniugare tradizione con innovazione e a tutelare il valore del Marsala.
Deve, inoltre, basarsi su “conoscenze certe”, acquisite e valutate con il rigore che è proprio del metodo scientifico. Si propone, quindi, di avviare un progetto Marsala finalizzato all´acquisizione di “conoscenze certe” sulle specifiche problematiche dei differenti segmenti (produzione, trasformazione e commercializzazione) della filiera, da offrire agli attori del vino marsala per una loro valutazione ed eventuale utilizzazione nei modi e nei tempi che riterranno più opportuni. Esse per il segmento della produzione debbono riguardare la componente genetica, varietà ed eventualmente la combinazione d´innesto, quella ambientale, zone di produzione, e la tecnica colturale, disegno e gestione del sistema vigneto.
Per la produzione del vino, poi, è necessario elaborare tecniche di vinificazione in grado di valorizzare e di esaltare la tipicità e la qualità ottenute in vigneto, effettuando interventi che valorizzino la composizione dell´uva e le eventuali diversità compositive della materia prima indotte dall´ambiente, dalla varietà e dalle tecniche colturali, tenendo conto in ogni caso della tipologia di prodotto enologico voluto. Le recenti acquisizioni scientifiche, in materia di biosintesi delle sostanze più direttamente correlate con la qualità del vino, di biochimica della fermentazione e delle trasformazioni che intervengono durante la conservazione del vino, devono servire alla messa a punto dei processi produttivi, nel rispetto della tradizione che rappresenta, in definitiva, il modello su cui costruire l´innovazione di prodotto.
Ora per avere spazio sullo scenario internazionale nelle dimensioni del sociale, del culturale e anche dell´economico, è indispensabile dimostrare di essere un partner affidabile. E per affermare tale concetto occorre agire in modo forte e coordinato, consapevoli di dover scardinare preconcetti esistenti che ancora oggi influiscono negativamente sulla percezione del marchio “Marsala Doc”.
Penso che la vera formula di accompagnamento della Regione Siciliana nei confronti della dovrà essere: qualità, promozione, mercato, con misure economiche importanti, ma finalizzate ad un vero “salto di qualità. Elemento centrale dovrà essere la volontà organizzativa dei produttori e il dialogo con le istituzioni per il supporto necessario e indispensabile ai fini di tale cooperazione. Cooperazione che però, diciamolo, da buoni italiani, non è sempre voluta dai produttori. Sono consapevole che questo non potrà realizzarsi se prescinderemo da quelle garanzie (non aiuti) che le istituzioni (intesi come contenitori capaci di favorire contenuti) dovranno offrirci (questa dovrà essere una pretesa).
A nostra volta, però, dovremo essere in grado di non rapportarci alle istituzioni in un atteggiamento di dipendenza infantile utile solo per creare elettori cloni, ma al contrario in un atteggiamento competente capace di trascinare dentro i progetti e le iniziative coloro che sembrano lontani da questi mondi. E´ certamente rischioso tutto questo, perché ci rende indipendenti, e sappiamo quanto per noi siciliani la perdita di contenimento, di consenso, sia difficilmente sopportabile. Ma dobbiamo farlo, altrimenti il rischio è che il “futti compagni” costituirà le uniche note, di un testo stonato, che sapremo riconoscere.
* responsabile nazionale pubbliche relazioni Union Europèenne des Gourmets – Italia