La riflessione dello chef de la Madia di Licata. Dal cibo per gli altri preparato anche in questi giorni difficili alla comprensione che il ritorno alla terra è la vera scommessa del futuro. “La testa non si ferma mai”
di Stefania Petrotta
Tutti in quarantena, cercando di tenere fuori dalle case il coronavirus che sta flagellando ormai tutto il pianeta. Una cosa però è certa: oltre alle vittime che sta facendo questa pandemia, quello che colpisce è la constatazione di come questo virus danneggi sia i contagiati che il resto delle persone, portando i primi al ricovero e condannando i secondi ad una reclusione un poco forzata ma anche tanto, per fortuna, scelta con consapevolezza.
Ne parliamo con Pino Cuttaia, presidente dell’associazione Le Soste di Ulisse e chef del ristorante due stelle Michelin “La Madia” e della gastronomia “Uovodiseppia”, quella che definisce la sua dispensa, a Licata, in provincia di Agrigento. Lo facciamo con preoccupazione condividendo le paure comuni e riflettendo sul settore specificatamente enogastronomico. Intanto come affronta uno chef stellato questo momento, continua a cucinare anche a casa o si riposa? “Certo che cucino a casa. Per chi fa questo lavoro – spiega – far da mangiare è naturale. Nel caso specifico, abbiamo avuto questo arresto forzato e improvviso dell’attività. Questo significa che mi sono ritrovato delle giacenze al ristorante che ho dovuto pensare a come smaltire senza sprecare nulla. È naturale, dunque, che io abbia suddiviso molte derrate tra familiari e collaboratori, ma di grande aiuto è stato per me avere Uovodiseppia”. Come ogni dispensa che si rispetti, infatti, grazie ai suoi prodotti pronti, come i sughi di pesce, i dolci, le preparazioni di verdure, ha permesso che non fosse buttato via nulla.
“Faccio un esempio – continua Cuttaia – Ieri ho preparato il minestrone. Ne ho fatto tanto perché già nel pensiero di prepararlo c’era l’idea di condividerlo, Un po’ come si faceva un tempo, quando si preparava una pentola e la si divideva tra tutti i membri della famiglia e del vicinato. Ecco, io ho suddiviso il minestrone tra tutti i parenti, fra cui gli anziani che non possono neanche uscire a fare la spesa per ragioni di sicurezza, e i miei collaboratori. Che poi è anche il concetto del fare il pane, l’alimento per eccellenza. Io mi sto dedicando tantissimo ai lievitati in questa pausa forzata. Sia perché i lievitati hanno bisogno di tanto tempo e in questo momento è l’unica cosa che non manca, sia perché consentono di fare tanti esperimenti”. Il grano come risorsa, dunque e d’altronde col grano si ha la possibilità di fare svariate preparazioni, dal pane ai grissini, dalle fette biscottate alla focaccia. Lo chef non si ferma, lavora ogni giorno in laboratorio, la maggior parte del tempo da solo ma qualche volta, in sicurezza, con i suoi collaboratori, perché “non perdere il ritmo, continuare ad addestrarci, è fondamentale. Un po’ come gli atleti sportivi che devono necessariamente continuare ad allenarsi ma a porte chiuse, occorre sempre allenare la nostra mente e la mano, anche nei momenti più difficili, per superare l’ostacolo e rinnovarsi. La mia mente non si ferma mai”.
Si prosegue dunque fiduciosi, ma con la consapevolezza di quello che sta avvenendo e, soprattutto, dei possibili scenari futuri, quelli del dopo virus. “Impossibile non pensare con una certa preoccupazione al futuro – ammette lo chef – Questa è un po’ la nostra guerra. È dura adesso, ma sarà anche più dura dopo, quando usciremo dal tunnel e ci ritroveremo con un’economia totalmente destabilizzata, non solo a livello locale, ma anche globale. È chiaro che la cosa colpirà tutti. Bisogna comprendere e affrontare anche la concreta possibilità che ristoranti come il mio, che sono considerati “di lusso”, non potranno ripartire subito perché sarà necessario una fase di transizione per far ripartire l’economia”. Ecco dunque che luoghi che faranno la differenza saranno quelli come Uovodiseppia, il piccolo negozio dove condividere una focaccia, la pasta al sugo, la pizza, al fine di sostenere economicamente sia chi vi lavora che chi ne usufruisce. Si ritornerà alla vita, lentamente ma consapevolmente. “Da questo pensiero e dall’impronta che ho dato fin dall’inizio alla mia cucina – conclude – in questi giorni è scaturita con più forza del solito una riflessione, che poi è insita nel mio pensiero da sempre: oggi come non mai constatiamo il valore della terra. In un momento storico in cui tutto è fermo, in cui quasi tutte le professioni si sono dovute arrestare, la terra non si ferma mai. Se domani mio figlio mi chiedesse consiglio su cosa fare da grande, io non avrei alcun dubbio. Gli direi di fare il contadino, perché anche nel corso di una guerra avrebbe la possibilità di portare il pane a casa. Ecco, io credo che se da tutta questa situazione qualcosa di buono possa venir fuori, è proprio il riappropriarsi di questo concetto primordiale, la riacquisizione del rapporto tra l’uomo e la terra. Tutti noi dovremmo tornare ad investire sul pezzo di terra, sugli strumenti culturali e materiali per coltivarlo, sia per il piacere di portarne a casa i frutti che saranno il nutrimento per i nostri figli, sia nella prospettiva di una possibile carestia. Perché oggi come non mai abbiamo avuto la dimostrazione che, anche in piena crisi economica, la campagna non ti abbandona”.