Rocco Di Stefano, docente di viticoltura ed enologia dell’Università di Palermo e di Asti, salva la doc marsala con tutte le sue tipologie ma solo con le dovute revisioni e con uno sforzo unitario da parte dei produttori nel rilancio di questo vino
Il futuro è Vergine
“Nella doc l’unico vero Marsala è quello Vergine”, per Rocco di Stefano, docente all’Università degli studi di Palermo, al corso di laurea di Viticoltura ed Enologia di Marsala, all’istituto sperimentale di Asti, il futuro del vino bicentenario sta tutto nel rilancio di questa punta di diamante da troppo tempo relegata nell’oblio. Un vino difficile per il consumatore e ancora di più per il produttore perché si fa soprattutto in vigna e rischi di produzione sono più alti. Secondo il professore solo migliorando la qualità del marsala vergine si può alzare la qualità media delle altre tipologie. Queste ultime però, come spiega in questa intervista, non vanno demonizzate, al contrario hanno tutto il diritto di rientrare nella doc.
Sulla doc marsala come si esprime?
Andrebbe certo rivisto il disciplinare, ora come ora non va. L’unico vero marsala però per me è quello Vergine. È il marsala come lo era originariamente. Fatto esclusivamente con uve grillo. Le altre tipologie sussistono solo per esigenze commerciali.
E queste meritano di rimanere nella doc? Non sono un traino verso il basso dal punto di vista qualitativo, parlando soprattutto del Marsala Fine?
Devo dire che per quanto riguarda l’uso alimentare che se ne fa come aromatizzante non è una cosa nuova. Lo si è sempre fatto. Un tempo in Austria e in Germania il marsala veniva usato anche come energizzante. E se poi si è inventato il marsala all’uovo era anche per aumentare tale funzione.
Quindi lei le salva tutte?
Diciamo che va rilanciato il marsala Vergine. Penso che se i produttori cominciassero di più a dedicarsi a questo prodotto, a tenerlo in considerazione, a migliorarne la qualità questo potrebbe portare anche ad un innalzamento del livello qualitativo delle altre. Se i produttori poi rispettano un disciplinare, quindi una legge, perché non accettare anche queste tipologie?
Lei stesso però afferma che sono altra cosa rispetto al marsala.
Si certo, il marsala è quello che si fa prima di tutto in vigna. El’unico ad essere fatto in questo modo è il Vergine. Richiede una viticoltura più attenta, mentre sicuramente è meno attenta quella che produce i marsala conciati. E quindi sono prodotti diversi, ma non per questo non devono rientrare nella doc.
Ma non sono stati questi marsala conciati a gettare ombra sul Vergine?
Non credo. Il marsala Vergine è un marsala difficile per il consumatore, non tutti possono capirlo. Non è facile da bere, perché è secco. Non è facile che trovi sbocchi commerciali. Poi si è diffuso anche un’abitudine di consumarlo errata. Usato per lo più come dopo pasto invece è un vino che va preso con l’aperitivo, in abbinamento a formaggi stagionati a noci, o fuori dai pasti.
Non si abbina facilmente alle pietanze. Inoltre solo ora qualche ristoratore sta cominciando a proporlo. Credo che questa sia l’unica tipologia che può tenere alto il nome della doc. Ma i produttori non investono sulla sua produzione proprio perché in vigna il lavoro è più impegnativo
Secondo lei quindi è il Marsala Vergine che può risollevare le sorti della doc?
Si. Se si investe in questo prodotto per me è la testa d’ariete che può aprire la strada alle altre tipologie. Però anche i produttori devono unirsi per migliorare l’immagine del marsala. In Sicilia si è troppo individualisti. I produttori devono capire che nel mercato devono lottare in una battaglia comune. Ci sono troppi marsala sugli scaffali, di tutti i tipi, e questo finisce con lo svilire l’immagine stessa.
Manuela Laiacona