(Matteo La Spada)
Il risveglio gastronomico di Messina passa per le mani di un giovane pizzaiolo. Si chiama Matteo La Spada ed è il pizzaiolo de L’Orso di Messina, che recentemente è stata inserita nella Guida del Gambero Rosso tra le migliori pizzerie d’Italia.
Matteo è un giovane che confessa di avere intrapreso il mestiere del pizzaiolo per trovare lavoro, ma ben presto, iniziando a fare ricerca, corsi e ottenendo riconoscimenti, ha visto crescere una passione che mai si sarebbe aspettato. Da qualche anno ha carta bianca alla pizzeria L’Orso di Messina e da qualche mese, con la proprietà, ha dato il via ad un secondo locale L’Orso in teglia, dedicato alla pizza in teglia romana. “La mia passione è nata 20 anni fa – racconta – forse per l’esigenza di trovare lavoro, poi però è sbocciato l’amore con la ricerca, lo studio, la formazione e i titoli che mi hanno dato la forza di credere che ero sulla strada giusta. Per fare il piazzaiolo ad alti livelli serve amare quello che si fa e trasmettere al cliente l’idea di prodotto gastronomico che si vuole proporre con chiarezza, anche quando una proposta può essere azzardata, tanto quanto un piatto gourmet, come nel caso, per esempio, della nostra pizza Fata Morgana, un impasto al nero di seppia con stracciatella pugliese, datterino giallo della Piana del Sele, Gambero rosso di Mazara, erba cipollina, olio extravergine d’oliva aromatizzato al limone.” A Messina sembra essersi risvegliato l’interesse per la pizza e per i lievitati, tanto che lo stesso La Spada afferma: “Quando abbiamo iniziato a proporre un’idea di pizza fuori dai soliti schemi venivamo presi per pazzi, ma oggi siamo La Mecca della pizzeria siciliana perché arriva gente da tutta l’Isola e dalla Calabria per degustare le nostre creazioni”.
Come si arriva a tanta attenzione da parte dei consumatori? “Tutto parte del lavoro che si intende fare e da come lo si vuole fare – spiega il pizzaiolo – Se ti poni come obiettivo la massima qualità non hai limiti. Perché aspettarsi un vero pellegrinaggio gastronomico verso un ristorante e non verso una pizzeria? Dimostriamo che non è così”. “Oggi la figura di pizzaiolo – prosegue – è su un piano diverso rispetto a quella di uno chef. Più sacrificante stare dietro ad un impasto, ad un forno, trovare alternative. Oltre al seguire i vari topping delle pizze, bisogna stare dietro agli impasti come si fa con i figli. Un impegno grande, che non si può fare per uno sfogo lavorativo”. Perché allora molti giovani sognano di diventare grandi chef e non pizzaioli? “Perché manca la formazione e l’informazione. Ad alti livelli occorre fare conoscere il vero significato del lavoro, la ricerca che c’è dietro alle farine, alle materie prime, alle innovazioni. Tutto si può portare in pizzeria, avendo la giusta conoscenza, conoscendo la materia prima e sapendola trasformare. Bisogna fare formazione ai ragazzi e far capire che l’arte nella pizza è uno sfogo della propria creatività. Bisogna farli studiare e avvicinarli ai pizzaioli professionisti perché vedano che essere pizzaiolo non è meno attraente dell’essere uno chef, se lo si fa ad altissimi livelli”.
Ma qual è la pizza perfetta, alla base? Che caratteristiche dovrebbe avere? “Digeribile, di ottima lievitazione e maturazione, friabile, con un cornicione pronunciato e alveolato, quasi vuoto”, afferma. E l’impasto? “Preferisco usare gli impasti indiretti, con un pre-fermento di 24 ore, e un reimpasto di 24 ore prima che la pizza venga infornata, quindi raggiungiamo le 48 ore totali. Per questo mestiere serve passione, un continuo studio e una continua conoscenza delle materie prima. Qui usiamo una farina macinata a pietra del molino Quaglia, diamo importanza alle materie prime siciliane soprattutto. Gli ingredienti sono i migliori, dal pomodoro San Marzano o biologico coltivato in Italia alla mozzarella con latte rigorosamente siciliano. C’è un’attenzione massima ai salumi soprattutto a quelli dei Nebrodi, del nostro territorio. Facciamo ricerca di nicchie di mercato nel reperire le materie prime, come per le foglie di cappero di Pantelleria, per alici e per la colatura di alici di Cetara. Vogliamo dare l’eccellenza ed è questa la nostra fortuna. Fino a qualche anno fa non si muoveva mezza Sicilia e parte della Calabria per venire da noi a mangiare la pizza. I titolari mi hanno dato subito carta bianca nella ricerca degli impasti anche alternativi, come multi-semi, al nero di seppia, di grani antichi”. Per un impasto tradizionale, la formula è composta da farina tipo 1 e da una piccola percentuale integrale, con una idratazione del 73 per cento e con un impasto indiretto. Riguardo ai tipi di pizza, ai gusti, afferma: “Valorizziamo la tradizione cominciando dalla pizza più popolare, quella messinese, ma raggiungiamo livelli di alta ricercatezza. Collegando tradizione e innovazione”.
Quali i prossimi obiettivi? “Abbiamo recentemente aperto il secondo locale dedicato alla pizza romana in teglia, ottenendo da subito il premio delle due rotelle nella Guida del Gambero Rosso 2020 – afferma -. In questo caso parliamo di pizza da street food, ha un impasto molto croccante e digeribile. Non è la classica focaccia messinese, perché non ha grassi animali ma solo vegetali da olio extravergine d’oliva e un impasto molto idratato di oltre l’80 per cento. Proponiamo tre categorie di teglie, dalle classiche con tuma, scalora, pomodoro fresco e acciughe, alle più innovative e stravaganti. I prossimi obiettivi sono conquistare le tre rotelle e i tre spicchi con la pizzeria L’Orso nella Guida del Gambero Rosso. Per il resto, vivo già il mio sogno, ma stiamo lavorando al format da esportare fuori: Milano potrebbe essere la meta.
F.L.