Intervista al critico gastronomico che ieri ha compiuto 70 anni. “Se mangio carne mi vengono un sacco di scrupoli, sto cambiando idea”. E su Tripadvisor? “Il peggio che ci sia”. E sulla critica: “È finita un’era. I giornali devono investire e creare una nuova autorevolezza”. Ed i ristoranti preferiti…
(Edoardo Raspelli)
Settant'anni. Molti dei quali passati immerso nel suo lavoro, da giornalista enogastronomico e volto noto delle Tv. Edoardo Raspelli ha raggiunto un importante traguardo.
“Ma non fatemici pensare – dice nel corso della nostra intervista telefonica – I compleanni mi mettono malinconia, anche perché adesso ho molti più anni passati che quelli che mi restano da vivere”. Ieri ha festeggiato a pranzo circondato dall'affetto dei suoi cari, poi di pomeriggio al lavoro, “ma presto porterò i miei amici a fare una bella mangiata di pesce qui nella mia zona”. Raspelli non è certo uno che tiene a freno la lingua. E la nostra chiacchierata è anche l'occasione per affontare temi spinosi. Come la critica gastronomica. “Cos'è? – dice tra il serio e il faceto – Credo di essere rimasto uno dei pochissimi che va nei ristoranti come inatteso cliente pagante. Il giornalismo gastronomico, come tutto il giornalismo, sta attraversando una delle sue crisi peggiori. La carta stampata è in crisi. Costa tanto fare i giornali, figurarsi rimborsare i giornalisti che vanno nei ristoranti a provare il menu che poi dovranno raccontare. E' un vero lusso. La critica gastronomica, intesa come quella che ho inventato io nel 1975, è morta. E non poteva che essere così davanti ad articoli che vengono pagati pochi spiccioli”.
Una guida, di quelle stampate, però, continua sempre ad avere il suo fascino: “Io ne consulto solo due – confida Raspelli – Quella de L'Espresso (l'ha diretta dal 1996 al 2001, ndr) e la Michelin”. Su TripAdvisor dice: “E' tutto il peggio possibile – dice Raspelli – Ha la valenza di un elenco telefonico di una volta: ci sono tutti. Ormai chiunque recensisce qualunque cosa. Smettiamola con questa “democraticità”. Avere un naso e una bocca non fa di te un critico gastronomico. La critica va fatta dai giornalisti. Come facevano noi all'Espresso. Da noi erano solo giornalisti professionisti, gente abituata e ordinata come mestiere a raccontare le cose. Ora invece, il giornalismo gastronomico è quasi al tramonto. Ci vuole un atto di coraggio”. Secondo Raspelli bisognerebbe ripartire dalle cucine del territorio, “perché se vengo in Sicilia voglio mangiare milza, panelle e crocché, se vado in Lombardia mi aspetto un risotto allo zafferano con il midollo – dice il giornalista – Sono stufo di avere nei piatti polvere di pomodoro, tabacco, capesante e liquirizia, l'aceto balsamico industriale utilizzato per decorare i piatti. Ormai non c'è più nessun legame con il territorio. Vado in decine e decine di ristoranti durante l'anno, posti dove il dolce non è più dolce, dove ci sono spugne, arie, fumo, polveri varie e perfino, una volta, una pomata di zucchine. Sono cose che mi fanno star male”.
Allora meglio una trattoria? “Non è nemmeno detto – dice Raspelli – Bisogna scovare quella che serve una cucina fatta con una certa eleganza. In ogni caso la grandezza della cucina italiana, per me, rimane la sua regionalità. Paradossalmente il regionalismo politico ha valorizzato la disomogeneità della cucina italiana”. Raspelli ha la sua ricetta affinché la critica gastronomica riprenda la sua autorevolezza: intanto una disponibilità economica propria o del giornale, “perché – spiega Edoardo – devi pagare tutto quello che mangi. Ti da libertà e autonomia. Se poi capita che torni in un posto di cui hai scritto bene e il titolare ti offre la cena, ogni tanto ci può stare”. Poi il Dna: “Mio padre aveva un grande olfatto e gusto. Io l'ho ereditato da lui. Puoi allenarlo, ma devi avere una solida base di partenza”. Infine l'esperienza: “Se mangi una spigola, ma non conosci la differenza tra quelle allevate in giro per l'Europa o una pescata in mare, come fai a dare un giudizio su quel piatto”? Oggi è difficile capire la differenza tra marchette (o macchiette come le definisce lo stesso Raspelli) e veri articoli di cronaca: “Nessuno stronca più nessuno – dice – E' finito tutto. Leggi nei giornali e non distingui cosa sia pubblicità da critica gastronomica. C'è una democraticità fasulla e pericolosa. Tutti siamo critici d'arte, allenatori della nazionale italiana ed esperti di cibo e vino. Bisognerebbe che i giornali, in particolare quelli della carta stampata, riottenesero credito e prestigio, diventassero più autorevoli. Meno pubblicità e più pezzi scritti bene. Purtroppo internet ha aperto le porte a chiunque. Alla fine Umberto Eco non aveva torto”.
Sui cibi del futuro ha le idee chiare: “Io non ho mai mangiato cose folli, se si eccettuano le lingue di anatra in Giappone e la marmotta in Piemonte – dice Raspelli – Il boom di insetti non ci sarà. E non voglio nemmeno pensarci. Invece credo che ci sia una maggiore attenzione al fatto di risparmiare gli animali. Quando mi trovo davanti piatti a base di carne, mi soffermo a pensare al loro sacrificio. Se mangi verdure e legumi, alla fine, non uccidi nessuno e comunque mangi cose che fanno bene al tuo organismo. Insomma mi sto avvicinando al mondo del vegetarianesimo”.
Tra i suoi ristoranti del cuore, ci sono Il Cambio di Torino e quindi la cucina di Matteo Baronetto. La Pergola di Roma e quindi la cucina di Heinz Beck, l'Edelweiss di Crodo, nell’alto Piemonte quasi ai confini con la Svizzera, Marina a Olona in provincia di Varese, Dal Pescatore, locale dalla lunga storia a Canneto sull’Oglio in provincia di Mantova. “Da una vita non vado da Massimo Bottura all'Osteria Francescana – dice Raspelli – ma non troverei posto. C’è una lista di attesa lunghissima, di oltre 2.500 persone. Mesi e mesi di attesa. Ma a me non interessano i vertici della cucina italiana. A me piace scoprire ristoranti accessibili a tutti, che offrono un menu, giustamente ristretto, ma a prezzi accettabili per un consumatore normale e dove si mangia molto bene. Esistono”.
C.d.G.