GLI SCENARI
Poca produzione ma molto trendy. Quali rischi per i vini siciliani più gettonati? La tracciabilità sull’uva ma anche…
Etna, è difficile
gestire il successo
Quando percorro l’autostrada Palermo-Catania e supero l’ultima galleria sotto Enna cerco subito con gli occhi l’Etna. Difficile non vederlo, tranne in rare giornate nuvolose. Il Vulcano è lì, maestoso, unico, a indicarci la forza della natura, a segnalarci che la Sicilia orientale è lì a portata di vista. E per un gourmet è difficile non pensare all’animata comunità di vignaioli che vive alle falde del vulcano e ai vini che negli ultimi anni hanno stregato i palati di mezzo mondo.
Non c’è dubbio. L’Etna, senza offesa per le altre, è l’area vitivinicola di maggior interesse in Sicilia. Per quello che ha espresso, per quello che ancora potrà dire; per l’interesse che ha suscitato presso anche altri produttori siciliani e italiani in genere e per la diversità del territorio e del clima. Totalmente differente dal resto dell’Isola. Basta questo per dire che i vini dell’Etna stanno vivendo una fase di successo straordinario, senza precedenti. E adesso verrà il bello. Perché come spesso accade il difficile non è conquistare il successo ma gestirlo. E l’esito non è scontato nonostante le premesse siano buone.
Oggi l’Etna rappresenta poco meno del due per cento del vino prodotto in Sicilia. Nel 2008 ne sono stati certificati poco più di 9.500 ettolitri rivendicati da 32 aziende di cui 26 risultano iscritte al consorzio di tutela. Poco rispetto al resto della Sicilia ma assolutamente trendy. Tuttavia la strada verso il futuro non si presenta in discesa. Partiamo dal disciplinare della Doc che è quello di 40 anni fa. Da tempo si chiede una modifica, ora una richiesta è pendente presso il Comitato nazionale Vini Doc affinché si ritocchino le regole. Tra le cose principali, l’introduzione degli spumanti e l’obbligo dell’imbottigliamento in zona. Il consorzio di tutela raggruppa ben 67 aziende che non è poco, considerata la scarsa propensione all’aggregazione dei siciliani. C’era l’idea di obbligare tutti a imbottigliare l’Etna Doc con una sola tipologia di bottiglia, ma sta naufragando. Era una bella idea, avrebbe comunicato un univoco messaggio forte da un unico territorio ma è difficile conciliare le esigenze dei grandi con i piccoli. Ma la vera posta in gioco riguarda l’uva e il prezzo finale del vino. Sul primo aspetto qualcuno teme che l’uva possa diventare una sorta di cavallo di Troia. Di materia prima ce n’è poca e per giunta costosa – quest’anno si aggirava sugli 80 centesimi al chilo mentre in altre parti della Sicilia il prezzo era cinque volte meno – e la paura è che qualcuno possa fare il furbo. L’unico rimedio in questo caso è quello di alzare il livello dei controlli sulla tracciabilità. Che si spera siano rigorosissimi. Sul secondo aspetto la proposta di imporre un prezzo minimo non ha trovato tutti d’accordo. Sicchè si potrebbe trovare Etna Doc a prezzi inferiori ai 5 euro allo scaffale. Per molti sarebbe la fine perché ne andrebbe dell’immagine del vino stesso. L’esperienza del Nero d’Avola insegna: con una forbice di prezzi troppo ampia si soffre. Ma il vero rischio è che ognuno vada per conto proprio e che manchi un’univocità di intenti. Sull’Etna ognuno può dire quello che vuole – ci mancherebbe – ma non dovrebbe trascurare l’intento di parlare a nome di un sistema di cui tutti fanno parte . Vignaioli che credono nel territorio e in quello che fanno. Muoversi dunque con un’unica prospettiva. Ci sarà questa consapevolezza? Sull’onda del successo tutto questo sarà più necessario. E non c’è tempo da perdere. Anche perché gli scivoloni possono in un attimo disfare tutto quello che di positivo è stato costruito in questi anni. I rischi si conoscono. Il tempo sarà galantuomo.
Fabrizio Carrera