di Maristella Vita
L'idea progetto è ambiziosa: Bianco in provincia di Reggio Calabria, la cittadina della Doc più antica d’Italia (2.500 anni), avvia un progetto per la valorizzazione dei palmenti, icone della cultura millenaria mediterranea della vite e del vino, presenti sullo stivale dalla Liguria alla Calabria e le isole. Ma è una presenza che da ovest ad est si estende dalla Spagna alla Georgia, con presenze in Africa e medio oriente.
Il palmento è il luogo nel quale per secoli è avvenuta la pigiatura dell'uva per produrre il mosto. Il nome deriva dal latino palmes palmitis, tralcio di vite, o da paumentum, l’atto di battere, pigiare. Collocati solitamente in aree lontane da centri urbani o rurali, furono utilizzati in “scala industriale tra l'età ellenistica e tutta quella romano-imperiale, per quasi un millennio” (fonte Wikipedia). Il palmento è solitamente costituito da due vasche comunicanti: l’uva, versata nella superiore, era pigiata e lasciata riposare; quindi, tramite un foro nel tramezzo, si lasciava defluire il mosto, che sfruttava la naturale pendenza del territorio, nella vasca inferiore di fermentazione. Alcune località come Ferruzzano e dintorni (Rc) propongono un numero impressionante di questi palmenti (700), usati ininterrottamente sino a qualche secolo fa; molti recano impresse delle croci di tipo bizantino o latino, fatto che permette di misurare almeno in parte il lungo periodo del loro uso. Come ricorda una pubblicazione dell’associazione Città del Vino, in assenza di roccia friabile, il palmento veniva costruito in muratura, impermeabilizzando le vasche con uno stato di intonaco; una tipologia presente in molti paesi dell’area del Mediterraneo (Armenia, Bulgaria, Cipro, Corsica, Francia, Italia, Malta, Spagna, Israele, Mauritania).
In Italia testimonianze di palmenti si trovano, tra l’altro, in Liguria (San Lorenzo, Ventimiglia, IM), Emilia Romagna (zone appenniniche); Marche (San Leo, PU); Toscana (Sansepolcro, AR; Abbadia San Salvatore, SI; Vitozza, GR; Isola del Giglio, GR; Isola d’Elba, LI; Isola di Capraia, LI); Lazio (molte località delle Province di Viterbo e di Roma); Campania (Isola di Ischia); Basilicata (Pietragalla, PZ); Calabria (la già citata Ferruzzano, RC e altre località della locride come Bruzzano, RC; Caraffa del Bianco, RC; S. Agata, RC; Casignana, RC); Sicilia (Montalbano Elicona, ME; Camastra, AG; Motta, ME; Moio Alcantara, ME); Sardegna (Arzolas,NU). L’archeologia può diventare il filo conduttore dello “story-telling del vino”. La creazione di un Centro Studi per i palmenti a Bianco (RC) è l’occasione per un approfondimento sulla presenza dei palmenti (o piani di pigiatura) nel Mediterraneo per l’analisi dei processi sociali ed economici che hanno favorito la circolazione antica dei vitigni e dei metodi della loro coltivazione. Anche la viticoltura è espressione di una stratificazione culturale antica: ogni angolo della nostra Penisola nasconde un tesoro costituito da vitigni quasi sconosciuti e da tradizioni enologiche che sono state tramandate intatte da tempi immemorabili. Perché, quindi, non inserire anche i palmenti tra i giacimenti culturali più importanti d’Italia? In un epoca dove la perdita dell’identità culturale è rappresenta da una vera e propria amnesia collettiva, come sostiene Attilio Scienza dell’Università di Milano, il guru del vino italiano, “i palmenti possono rappresentare degli iconemi capaci di teatralizzare la viticoltura ed i suoi territori”.