Enologo dell'azienda è Tonino Guzzo
(Luigi e Debora Bonsignore)
di Francesca Landolina
“Fai attenzione a desiderare qualcosa, perché poi la ottieni”. Il dado era stato tratto e con queste parole Luigi Bonsignore, manager nel settore del marketing e delle comunicazioni dice alla moglie Debora di aver acquistato una tenuta di 13 ettari, di cui 7 vitati in contrada Giddio a Naro, in provincia di Agrigento.
Perché questa frase? La storia amalgama passione, sogni e un pizzico di follia ed è per questo che ci piace raccontarvela. Tutto ha inizio da un desiderio di Debora. Una giovane donna giunta alla terza gravidanza, con 16 anni trascorsi nel mondo del vino e un sogno nel cassetto che non la fa dormire: un’azienda artigianale, tutta sua, a misura d’uomo, che racconti la Sicilia del vino e il suo territorio d’origine e che diventi un luogo per accogliere coloro che desiderano immergersi nella cultura siciliana autentica. Così inizia la loro avventura circa 10 anni fa, quando cominciano a guardarsi intorno per trovare il luogo giusto. C’è una tenuta che osservano nell’agrigentino, ha dei proprietari con un progetto vinicolo in corso, ma sono 10 soci e la loro idea sfuma presto. Il momento è quello giusto. Aspetta solo di essere colto. Non ci pensa due volte Luigi Bonsignore, che la acquista, vendendo la sua nuovissima barca a vela e perfino la casa di proprietà nel comune di San Cataldo. Ecco spiegata quella frase iniziale “Fai attenzione a desiderare una cosa, perché poi la ottieni”. Insomma la storia si può riassumere in “molliamo tutto e ricominciamo”. Una follia? No, se la scelta è dettata dal cuore e se diventa un progetto di vita.
Debora oggi si dice felice, una casa attualmente non ce l’ha, ma dorme serena tutte le notti. Lei con i suoi bambini di 8, 6 e 4 anni, è un vulcano in continua eruzione. Mentre Luigi la asseconda credendo in lei e nella sua positività. Trovati i vigneti non resta che scegliere un enologo a cui affidarsi. Esce fuori il nome di Tonino Guzzo, uno dei più accreditati in Sicilia e non solo. Così si può cominciare. La Tenuta, oggi chiamata Baglio Bonsignore, ha 13 ettari complessivi di cui 7 già vitati. Con la guida di Guzzo, tre di questi vengono espiantati e altri tre impiantati per coltivare Grillo, Nero d’Avola e Syrah. Ma si continua ad impiantare per aggiungerne altri da destinare anche al Catarratto così da arrivare a 10 ettari vitati. Coltivati a spalliera in un terreno che si caratterizza per la sua matrice mista calcarea e arenaria – argillosa ad altitudini variabili dai 400 ai 450 metri sul livello del mare.
Da qui debuttano i primi due vini: OI, che in dialetto locale significa “oggi”, un Grillo in purezza ( 6.000 bottiglie) che vinifica in bianco a temperatura controllata e affina 3 mesi in acciaio e 2 in bottiglia, regalando al naso profumi intensi di frutta tropicale, fragrante e fresco con una buona spina acida
e Cubburo (7.000 bottiglie), un blend di Nero d’Avola (70%) e Syrah (30 %) che affina per 12 mesi in barrique di rovere francese e per 6 in bottiglia. Un rosso dal carattere siciliano, colore rosso rubino, con note di frutti di bosco, prugna, ciliegia e sentori cacao, spezie scure, erbe aromatiche e cenni balsamici. In bocca morbido, avvolgente e succoso. Quest’ultimo vino è senz’altro il gioiello di Baglio Bonsignore e prende il nome dall’architettura di origine neolitica trovata nella tenuta. Un reperto quest’ultimo, che Debora vuole valorizzare e mantenere in perfetto stato per renderlo accessibile ai visitatori.
L’origine del cubburo, una struttura funeraria, risale all’era neolitica e si può assimilare all’antico tolos greco. Nel Quattrocento, probabilmente, i contadini del luogo lo riadattano a ricovero per gli animali, costruendovi un tetto in paglia. Da alcuni testi benedettini invece si evince che la tenuta fosse stata un piccolo palmento. Adesso è in fase di restauro per diventare la nuova “casa” siciliana, destinata al vino e all’accoglienza enoturistica. Il progetto prevede la realizzazione della cantina, di 5 suite e, nel piano terra, di un grande spazio destinato a laboratori artigianali e artistici. “Questa sarà la casa del territorio – racconta Debora -.Apriremo le porte a bambini, disabili, anziani e giovani da coinvolgere in laboratori di cucina, artigianali, teatrali. Ne faremo uno spazio per l’arte fotografica ospitando un fotografo del luogo con cui collaborare, Roberto Patanè. E inoltre avvieremo laboratori teatrali per recuperare l’arte e le vecchie maestranze, come quelle dei pupi siciliani”.
(Luigi Bonsignore)
Un progetto a 360 gradi dunque che ha origine nelle origini, tanto che Debora svela il suo sogno di poter impiantare vitigni autoctoni in via di estinzione in Sicilia. Intanto però la marcia non si ferma e nel 2018 vedrà la luce un nuovo vino, di cui si produrranno circa 15 mila bottiglie per arrivare complessivamente a 30 mila in totale. Sarà un Nero d’Avola in purezza e si chiamerà Opra, che nel dialetto del luogo vuol dire “confusione”, un’esclamazione che si fa quando si entra in una casa e vi si trova un disordine vivace e caloroso. “Opra, perché noi stessi siamo nel bel mezzo dell’opra, del teatrino insomma”, dice Debora sorridendo. E quali altri desideri per una donna così? “Non sogno. Ho la certezza di realizzare ciò che sento. Siamo già a lavoro per costruire passo dopo passo ciò che abbiamo desiderato. E lo faremo con passione, forse anche con un po’ di sana follia. Di certo c’è ciò che vedo nel nostro orizzonte. Negli anni che verranno vedo una piccola azienda sartoriale, umana, che racconti la Sicilia del vino con una forte identità. Forse più estesa di oggi ma sempre contenuta, perché resteremo ciò che siamo, magari conquistandoci un posto di rispetto nel panorama vinicolo siciliano. Lavoreremo per questo”.