(Pino Cuttaia, Beatrice Peruzzi, Filippo La Mantia, Norbert Niederkofler, Martina Caruso, Luca Caruso e Francesco Di Stefano)
di Giorgio Vaiana
Etica. Attenzione a usare questa parola fuori dal suo contesto. Lo hanno capito benissimo gli chef che partecipano a Care's l'evento che nella sessione invernale si è tenuto in Alta Badia e che ha messo insieme alcuni degli chef più importanti del mondo “sfidandoli” a preparare piatti con una attenzione massima nella scelta delle materie prime da usare, una filiera cortissima, produttori selezionatissim, meglio se “micro” e un recupero delle antiche tradizioni.
(Filippo La Mantia mentre prepara il macco)
Ne è venuto fuori un evento interessante che ha visto la partecipazione di tante persone interessate a questo argomento e che ha messo insieme un gruppo di cuochi. Loro, dietro ai fornelli, hanno dimostrato che si possono fare grandi (e buoni) piatti partendo da materie prime semplici. Al sud Italia c'è sempre più voglia di mettere in tavola grandi piatti con gli ingredienti di una volta, quasi dimenticati e bistrattati. Prendete ad esempio Filippo La Mantia. Il suo ristorante si trova a Milano (Filippo La Maantia – Oste e cuoco), ma lui è palermitano di nascita. Lo capisci subito che è legato alla sua isola. Nel suo menù è un continuo rimando ai sapori tradizionali. E anche a Care's non si è smentito. Stupendo i presenti con una pasta che molti ricordano perché magari la preparava la nonna. E quindi i capperi, la pasta di acciuga, il concentrato di pomodoro. Ingredienti facili da trovare, semplici, ma che rendono il piatto una vera emozione: basta inebriarsi di quei profumi per essere proietatti su una terrazza in riva al mare, oppure in aperta campagna circondati da campi di grano.
(La pasta di Filippo La Mantia)
E poi le fave. Filippo li mette tra gli ingredienti del cuore. Il “macco”, una vellutata densa, ricca, saporita che non smetteresti mai di mangiarne. Una ricetta povera siciliana che in passato veniva preparata dalle famiglie contadine come piatto unico. All’interno infatti veniva spezzato lo spaghetto in modo da rendere questa zuppa più nutriente. Ma Filippo precisa: “Il periodo ideale per mangiarlo è la primavera – dice – perché ci aggiungo il finocchetto selvatico, un ingrediente immancabile che cresce spontaneo in natura”.
(Martina Caruso)
Dall'isola di Salina in Alta Badia l'escursione termica è stata “mostruosa”. Considerando che in Sicilia, in questo periodo c'è un caldo veramente anomalo, con temperature che sfiorano i 20 gradi. Martina Caruso, del ristorante stellato Signum di Salina, ormai prende parte con consuetudine a questo evento che nella sessione sstiva è stato proprio ospitato nell'arcipelago delle Eolie in provincia di Messina. Ad accompagnare Martina, il fratello e titolare del Signum, Luca Caruso: “L'evento è andato molto bene – dice Luca – Si è registrato il sold out praticamente sempre. Segno che c'è davvero un interesse verso questo argomento. Etica e rispetto del territorio rimangono comunque due concetti delicati da trattare. Che vuol dire etica nel campo della ristorazione? Significa sostenere i piccoli produttori locali utilizzando materie prime di stagione”. Anche con alcuni ecsamotage, come fa Martina. Che, seguendo l'antica tradizione tutta meridionale soprattutto, fa le conserve: e così pomodori, melanzane, peperoni, basilico, tutto viene conservato in dispensa e viene utilizzato come fosse un prodotto fresco: “Si scopre la bellezza di fare le conserve – dice Luca – una tradizione che pian piano sta sparendo. Ma è bellissimo vedere la gioia dei nostri clienti quando gustano una melanzana in inverno che conserva intatti profumi e i sapori di un prodotto di stagione”.
(Il tacos di Martina Caruso)
Per Luca, ritrovarsi all'interno del progetto Care's “è stato motivo di crescita e riflessione – dice – Una scelta fatta ormai tre anni fa che rifaremmo altre migliaia di volte. Dall'Alta Badia andiamo via con parecchie domande ancora senza risposta, ma credo con tanti punti di arrivo”. Martina (ma non fa più notizia) ha stupito i partecipanti alle masterclass e alle cene con due piatti incredibili nei quali ha utilizzato le lumache madonite, una piccola produzione di un gruppo di govani imprenditori siciliani, le biete, il topinambur. Poi ha fatto un tacos con farine antiche siciliane mettendogli dentro il polpo, il maialino nero dei Nebrodi, ala verza e il porro. E' andato “a ruba”.
(Pino Cuttaia)
Tra gli chef del Sud amanti della parola etica e del rispetto del territorio c'è Pino Cuttaia, il bistellato de La Madia di Licata in provincia di Agrigento. Pino ha fatto del'etica la sua filosofia in cucina. Studia sempre nuove cose, ma guarda con attenzione l'origine della materia prima che sarà il vero protagonista del suo piatto. Qui a Care's, in valigia, ha messo le lumache siciliane, la bietola e il ragusano Dop, tre degli ingredienti a cui è particolarmente legato anche per ricordi di infanzia. “C'è ormai una presa di coscienza da parte di tutti noi cuochi – spiega Cuttaia – Adesso abbiamo la possibilità di non sbagliare più, di non fare gli errori fatti negli anni '80 o '90. Sappiamo cosa vuol dire fare il cuoco nei nostri territori e come onorarli, preparando piatti che ne esaltino l'essenza, che lo raccontino, che sia il frutto di una filiera corta”.
(Il piatto preparato da Cuttaia)
Ma Cuttaia non disdegna una stoccata, che sembra, anche se non lo dice chiaramente, riferita a qualche suo collega: “Il sapere dovrebbe essere condiviso, non celato – dice lo chef – Se la cultura, o meglio quelli che chiamiamo segreti, fossero invese messi a disposizione degli altri, credo che la vita, in generale, funzionerebbe in maniera meravigliosa”. Care's è una formula che funziona e che convince, grazie, dice Cuttaia “alla lungimiranza di Paolo Ferretti e Norbert Niedelkofler che sono stati bravi a capire queta unione fra le montagne e i mari”.Un ritorno al passato dunque, che però, spiega Pino “deve essere fatto con intelligenza. Non credo si tratti di una moda del momento, ma di una visione. Perché, in fondo, noi chef siamo visionari, capiamo prima degli altri i gusti della gente, di quello che vogliono mangiare, allora abbiamo il compito di dare valore a quello che ci circonda veramente. E' bello scoprire che coloro che mangiano in Trentino ad esempio, non mangiano, ed è giusto così, come quelli che mangiano in Sicilia. C'è questa territorialità che deve essere, secondo me, ancora maggiormente espressa, racconatata, attraverso i notri prodotti. Basta uniformarci. Rispettiamo la stagionalità dei prodotti, facciamo il nostro lavoro in maniera traspartente e, soprattutto, sosteniamoci a vicenda”.