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L'azienda

Signorvino, allo studio nuove aperture: “Mai la birra. E vi spiego perché il format funziona”

24 Novembre 2017
Luca_Pizzighella Luca_Pizzighella


(Luca Pizzighella)

di Alessandra Meldolesi

Afar breccia nell’ermetico commercio del vino è stato un negozio inaugurato nel 2012 in provincia di Verona, ma oggi il brand Signorvino conta 15 punti vendita sparsi per le maggiori città del nord Italia, spesso in location a forte richiamo turistico, come piazza Maggiore a Bologna, ma anche in centri commerciali dell’hinterland. 

E sono allo studio nuove aperture, per esempio a Roma e in altri centri, urbanistici e commerciali. Il successo premia una formula innovativa, che abbiamo chiesto di illustrare al direttore commerciale Luca Pizzighella.

Cosa differenzia Signorvino da un’enoteca classica?
“Ci definiamo un negozio di vino, nel senso che veniamo dal retail e puntiamo a valorizzare un capitale composto di esperienza, assortimento, servizio, qualità, location. Ci posizioniamo sicuramente nella fascia premium, con un vasto assortimento di eccellenze italiane, oltre 30 etichette di Amarone, Barolo e Brunello, tutte acquistate direttamente dai produttori, senza la mediazione dei distributori, cosicché riusciamo a mantenere un ottimo rapporto qualità/prezzo. Abbiamo un centro logistico per gli acquisti, ma l’idea è quella di avvicinare il consumatore, che non si deve mai sentire in difficoltà. Niente soggezione, come avviene spesso al ristorante, quando il cliente non sa scegliere. Basta rivolgersi ai nostri ragazzi, tutti sommelier o appassionati, quasi sempre al di sotto dei 35 anni. I punti vendita sono diretti, a parte tre in affiliazione interna. Siamo un brand del gruppo Calzedonia, azienda che si fonda sul franchising”.

Come è nato questo ampliamento?
“Dalla passione per il vino: anziché costruire una cantina propria, il proprietario Sandro Veronesi ha preferito partire dalla sua esperienza vincente nel retail, per poi passare magari un giorno alla produzione. L’idea è quella di prendere in mano un settore dove la distribuzione è molto parcellizzata, come è stato fatto all’estero, vedi Nicolas in Francia o Majestic a Londra. Qui il territorio è molto forte, ma noi vorremmo convogliarlo alle persone, facendo viaggiare la specializzazione che abbiamo sui vini di Verona, per esempio, in altre zone d’Italia. E l’assortimento di 1.500 etichette è interamente nazionale. Una scelta coraggiosa, perché il vino francese sul mercato è importante. L’abbiamo compiuta con uno spirito un po’ sciovinista, perché un giorno vorremmo rappresentare il vino italiano all’estero, in modo da fare sistema, mentre oggi ognuno si muove un po’ per conto proprio”. 

Qual è il vostro target?
“Direi che è misto, con un ottimo riscontro anche nel pubblico femminile. Oggi c’è un movimento di attenzione per il buono che coinvolge anche i giovani, vedi i cosiddetti “foodies”, le rivoluzioni di Eataly e di Fico. Mentre prima magari si cercava più il blasone, gli studi di mercato e le rilevazioni nei negozi pongono oggi al centro l’esperienza. C’è l’esigenza di rivedere la formazione in chiave più esperienziale, meno tecnica e didattica. Anche noi ce ne facciamo carico: abbiamo tenuto lezioni sul vino al Vinitaly, organizzato tasting ed eventi con i produttori. Siamo un’enoteca premium nel vino italiano, ma il sogno è quello di unire la convenienza della grande distribuzione all’esperienzialità di una visita in cantina. Per questo vogliamo portare i produttori da noi e inviare i nostri ragazzi sul campo. Saranno presenti anche alle maggiori anteprime, perché poi siano in grado di trasmettere emozioni”. 

Eataly è stato un esempio?
“Come Calzedonia abbiamo 4.500 negozi nel mondo e conosciamo il richiamo dell’italianità. Eataly ha aperto le porte al Made in Italy fatto da italiani all’estero. Ma a noi non interessa essere generalisti: il vino italiano è il nostro focus, non intendiamo allargarci alle birre. Anche la cucina è qualcosa che viene dopo, come complemento del bicchiere. La scelta del menu è centralizzata, ma punta sulle eccellenze del territorio con formaggi e salumi scovati da 2 ragazzi in giro per l’Italia, tapas italiane, pasta fresca e carni interpretate secondo il repertorio regionale”.

Come vengono selezionate le etichette?
“Se ne occupano i nostri esperti che arrivano dai punti vendita, quindi sanno cosa piace ai clienti. Ci sono i must, ma anche chicche non autoreferenziali, che hanno un valore percepito. Le referenze sono in gran parte le stesse dappertutto, ma dove il territorio è importante la gamma è più vasta”.

Anche la comunicazione è un tassello importante nel vostro progetto di apertura del mercato…
“Abbiamo optato per una strategia mista. Vogliamo collaborare innanzitutto con chi sta promuovendo il vino sui canali social, che hanno un pubblico giovanile. Per esempio Andrea Gori, direttore artistico di God save the wine, il nostro festival itinerante, e altri blogger conosciuti, non solo del mondo del vino. Poi c’è la televisione: abbiamo appena creato un format per Wine Tv, il nuovo canale tematico di Sky, dove diversi blogger devono compiere le loro scelte tenendo conto del prezzo per una particolare destinazione d’uso. In modo da parlare ai giovani attraverso chi normalmente si rivolge ai giovani”.