Lo chef del ristorante palermitano svela i nuovi progetti. E un sogno: quello di avere un locale tutto suo a conduzione familiare
(Domenico Dolce e Carmelo Trentacosti – ph Salvatore Garbo)
di Francesca Landolina, Palermo
Incontriamo Carmelo Trentacosti, da sei anni executive chef dei ristoranti del Grand Hotel Villa Igiea di Palermo. 41 anni e una lunga carriera alle spalle. La passione per la cucina inizia quando aveva 13 anni e da allora non l’ha mai lasciato.
Difficile la vita di uno chef – ci racconta -. Oggi non si fa che parlare di cucina, ma fare il cuoco significa sacrificare molte cose e se non si è davvero motivati e con i piedi ben saldi per terra, è possibile stancarsi e mollare”. Di scuola ne ha fatta, il giovane chef che da bambino sognava di diventare il più grande cuoco del mondo. “Sono i sogni che da bambini si fanno – confessa – poi la vita è un’altra cosa, si lavora duramente e capita di scontrarsi con le prime delusioni, ma ciò che importa è non arrendersi mai e continuare a fare strada, migliorandosi”. La stoffa del grande chef di certo non gli manca e il suo talento non è passato inosservato. Strada facendo si è conquistato la fiducia dei clienti, i primi a chiedergli incessantemente come mai non abbia ancora ottenuto la stella Michelin. Non sa rispondere neanche lui alla domanda, però sorridendo ci dice che la più grande soddisfazione la riceve proprio quando sono gli altri a chiederglielo. Stella o non stella, Carmelo ci racconta i successi degli ultimi anni al Grand Hotel Villa Igiea, una struttura con un bagaglio di storia importante da portare avanti; l’apertura del ristorante gourmet Cuvée du Jour e l’incessante ricerca di miglioramento. E i risultati si vedono. Oggi il Grand Hotel Villa Igiea è tornato a registrare numeri importanti e su 100 ospiti, 90 almeno decidono di fermarsi nei ristoranti della struttura. Attendono perfino i turni per sedersi a cenare quando tutti i posti sono occupati. E quale altra soddisfazione per uno chef?
(ph Salvatore Garbo)
Ma Villa Igiea è una meta preziosa e un punto di riferimento anche per molti vip e personaggi facoltosi che la scelgono fidandosi dello staff e della squadra che la dirige. Proprio quest’anno, nel mese di luglio, si è trasformata in un teatro in cui è andata in scena la Sicilia, celebrata in ogni sua forma, grazie all’evento di risonanza mondiale creato dagli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana. “Credo che quell’evento sia unico e irripetibile – afferma lo chef – oserei dire di rara bellezza. La sala congressi, la sala Belle Epoque e la sala Basile sono stati trasformati in showroom di alta moda. Gli allestimenti? Un tripudio di colori omaggio alla nostra terra. Abbiamo avuto oltre 400 ospiti durante la settimana”. E in cucina? “Più semplice di quanto mi aspettassi. Gli stilisti volevano piatti semplici della nostra tradizione. Per fare un esempio, il classico timballo di pasta e melanzane”. Nessuna richiesta particolare? “Beh in effetti sì. Volevano mangiare i tradizionali carciofi fritti e ripieni, detti “cu tuppu”, ma dove trovarli a luglio? Risposi che era impossibile perché fuori stagione, insomma fuori discussione. Ed invece non fu così. Rimasi sorpreso dalla risposta del responsabile eventi Dolce & Gabbana. “Non preoccuparti, te li troviamo noi”, mi disse. Per farla breve arrivarono 300 carciofi dalla Gran Bretagna e 300 li trovai io in Calabria. E carciofi fritti e ripieni furono”.
Capita che queste cose accadano a Villa Igiea; succede di incontrare vip come Domenico Dolce appassionato di cucina che stringe un rapporto di stima e di fiducia con lo chef. E tra gli aneddoti da raccontare, al di là delle visite frequenti dei vip, Carmelo non dimentica la visita di un emiro del Qatar. Un giorno gli chiese una pasta al pomodoro, da portare nel suo yacht. Bisognava far fretta, ma la fretta non si sposa con uno chef che ha una pasta di grano siciliano da cucinare, con 18 minuti di cottura. Bene, la pasta arrivò a tempo debito e l’emiro chiamò Carmelo. “Pensavo volesse protestare per l’attesa ed invece mi propose di cucinare per lui in Qatar”. Una carriera di sacrifici ma costellata di piccoli e grandi soddisfazioni. Grandi come i successi di questa annata 2017. “Abbiamo lavorato tanto, crescendo con una squadra sempre più unita. A volte potrei permettermi di assentarmi qualche giorno perché il mio team sa come muoversi”. Potrebbe, usa il condizionale, perché di fatto non lo fa mai. Pochi eventi fuori. Lui nella sua cucina vuole esserci eccome. Ma quali cambiamenti hanno portato a questi risultati in cucina? “Lo scorso inverno ho iniziato a fare un lavoro di ricerca quasi maniacale per trovare eccellenti materie prime. Non accontentandomi mai, ho scovato posti e piccoli produttori in vari angoli di Sicilia. Nelle spiagge di Capo Granitola, vicino Campobello di Mazara, ho trovato il sesamo bianco, un cetriolo peloso e una patata dolce eccellente. Nell’agrigentino,la nuvola di capra di Joppolo Giancaxio e tanti altri prodotti. Ma la bellezza vera è stata conoscere chi li produce e la passione con cui lo fa, scegliendo una vita molto lontana dai riflettori. Scovarli è come trovare un tesoro”. Accanto alla ricerca delle materie prime, c’è altro. “Quest’anno abbiamo aperto gli orizzonti, andando oltre la Sicilia e scegliendo prodotti italiani unici, come la nocciola delle Langhe o il maiale di Mangalica, una razza ungherese allevata a Viterbo”.
(ph Salvatore Garbo)
Focus sulle materie prime dunque ma anche capacità di osare. “Confesso che sono un tradizionalista, ma quest’anno ho osato di più per esempio con lo spaghetto carciofi, nocciole e liquirizia. Un piatto che se ben bilanciato, regala emozioni. Ha avuto un grande successo tra i nostri clienti”. Ricerca, coraggio, passione e cura estetica. Ecco un altro ingrediente, quest’ultimo, che si aggiunge alla lista dei fattori del cambiamento. “Mi sono fatto creare piatti in porcellana creati ad hoc per me da un artigiano friulano”, ci racconta. E poi ampliamento della squadra in cucina e in sala. Altro fattore decisivo. Senza tralasciare la nascita della cantina, che è stata ricavata da una grotta e che oggi ospita circa 450 etichette. “Intendiamo ampliarla ancora. E insieme ad essa anche i coperti del Cuvée Du Jour, portandoli da 14 a 22, in seguito ad un restyling che sarà realizzato per la prossima stagione per rendere ancora più accogliente il ristorante”. Tanta energia e una instancabile voglia di miglioramento continuo insomma. Non a caso i risultati della stagione che si chiude con un segno più. Non resta che ricevere la stella? “Pensiamo a fare del nostro meglio – afferma – La più grande soddisfazione la regalano i clienti. Siamo comunque ambiziosi ma preferisco che siano glia altri a dire cosa meritiamo”.
(Villa Igiea)
La stoffa c’è e si percepisce. Che arrivi la stella Michelin o meno, si vedrà. Nel frattempo, ci si prepara per la prossima apertura del Cuvée du Jour a marzo, mentre continua la ristorazione negli altri ristoranti della struttura simbolo del Liberty palermitano. Iniziano anche i preparativi per gli eventi natalizi in cui lo chef preparerà, di certo, quei piatti che hanno avuto più successo, tra i quali il baccello di pisello, con cracker di clorofilla e mousse di piselli, un piatto pronto a diventare il suo must. Gli si legge negli occhi quanta passione mette nel suo lavoro. Eppure ci svela una cosa. Oggi il mondo della cucina è frenetico e non si parla d’altro. Sono lontani i tempi in cui fare il cuoco era un modo come un altro per lavorare. E allora sì che bisognava fare tanta gavetta. Oggi ciò accade, ma le opportunità per i giovani e gli stimoli sono cresciuti in modo esponenziale. Fare il cuoco è un’ambizione sempre più comune. “Credo di aver messo la quinta marcia circa 10 anni fa quando sono entrato nella Nazionale Italiana Cuochi. Oggi chi comincia, fin da subito ingrana la sesta, perché ha maggiori opportunità di fare esperienza nelle cucine di chef stellati, di partecipare a concorsi, di acquisire visibilità. Insomma oggi si bruciano le tappe e si cresce correndo”. Il perfezionismo e l’autocritica gli appartengono, così come la voglia di fare sempre di più. Ma ha un piccolo sogno nel cassetto. Tra 10 anni? “Spero di trovarmi in un mio ristorante a conduzione familiare”.