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Scenari

Il Greco di Bianco Doc fa “Rete”: “Valorizziamo i nostri vini con l’archeologia”

26 Settembre 2017
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(L'intervento di Attilio Scienza al convegno)

di Maristella Vita

La neonata Rete delle vigne del Greco di Bianco Doc, la prima Rete d’impresa della Provincia di Reggio Calabria, è figlia della Costa dei Gelsomini. 

Scommessa e strumento, la Rete ha il compito di guidare queste Aziende vitivinicole, che si tramandano la produzione di vini da generazioni, verso un incremento della commercializzazione. Qui, in questa ristretta area della Calabria ionica, territori un tempo parte della ellenica “Locri Epizeferi”, ogni famiglia produce il Greco dalle proprie vigne. Se n’è parlato durante il Convegno “Il Greco di Bianco Doc e il Mantonico Igt raccontano la storia del territorio. Come valorizzarli”?, moderato dal Presidente Unaga Mimmo Vita, evento che concludeva il Press tour nelle Aziende vitivinicole del territorio. I giornalisti dell’Unaga e dell’Arga, sono stati invitati ad assaporare i sentori ed i dintorni di questi vini spettacolari che nascono da un vitigno autoctono che cresce da secoli in territori ricchi di storia e storie, ma poco conosciuti, come il Greco Doc d’altronde.


(Uva Greco di Bianco)

La cornice della serata era la Villa Romana di Casignana (RC), sito archeologico dai bellissimi mosaici del II, III e IV secolo d.C.. Gianfranco Adornato dell’Università di Bologna ha proposto di avvicinare i due settori e promuovere un connubio tra vino e archeologia come due facce della stessa esperienza turistica: “Un legame che non dobbiamo sforzarci di creare, perchè esiste già storicamente in queste terre”, ha sottolineato. Oltre a questo molti sono stati gli input provenienti dal tavolo del Convegno patrocinato dagli attigui comuni di Bianco e Casignana, Regione Calabria, Città Metropolitana di Reggio Calabria e Associazioni di Categoria. Presenti autorevoli personalità nazionali, regionali e locali, tra Nicodemo Oliverio presidente della Commissione agricoltura della Camera ed il consigliere regionale Seby Romeo. C'erano, inoltre, Attilio Scienza, uno dei padri dell’enologia italiana, dell’Università di Milano, e Rocco Zappia dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria; Anna Maria Guiducci (Soprintendente di reggio Calabria); i sindaci di Bianco Aldo Canturi e Casignana Vito Crinò; Gennaro Convertini (Presidente Casa dei vini di Calabria); Ferdinando Maisano (Presidente Rete delle vigne del Greco di Bianco).

Molte le idee scaturite dall’incontro. Interessante quella di aprire le Aziende e le cantine al turista con un percorso a 360 gradi, anche gastronomico, che in alcune Aziende già, in parte, esiste (ad esempio vendemmia tra i filari per gruppi di Canadesi e nord europei). Si è parlato di formazione necessaria per la manodopera, di standard di qualità da dover innalzare attraverso l’adozione di tecniche produttive più innovative rispetto al passato, e alla necessità di avere personalità autorevoli del settore enologico in cantina che spingano nelle direzioni giuste del mercato. Antonio Cuffali, Enologo locale e Ferdinando Maisano, Presidente della neo Rete hanno definito gli obiettivi dell’idea-progetto: la riduzione dei costi di gestione dei processi di vinificazione attraverso la condivisione dei macchinari, delle attrezzature, dei fornitori e quant’altro; l’agire per la creazione, in collaborazione con le Università, di un Protocollo sia per gestione agronomica, che per le procedure in cantina, al fine di elevare gli standard di qualità e produrre un vino ancora migliore.


(Attilio Scienza tra i vigneti di Greco di Bianco)

Si è parlato anche della creazione di un marchio certificato dalla Rete d’impresa da apporre ad ogni bottiglia. Importante, come era immaginabile, l’intervento di Attilio Scienza che ha voluto iniziare raccontando l’affascinante storia che lega la Grecia antica al vitigno di queste coste, il più antico d’Italia. “È una malvasia, ha ribadito, quindi con relazioni individuate a livello di germoplasma con le varie malvasie mediterranee, a cominciare da quelle dell’ex Jugoslavia”. La leggenda indica l’arrivo del vitigno nel VII secolo a.C., quando i Greci sbarcarono qui, nella Calabria ionica, presso il promontorio Zefirio, oggi Capo Bruzzano. A quel tempo con le sue uve appassite al sole sui graticci, ci si faceva un vino denso da allungare con l’acqua per rallegrare i nobili greci durante il simposio.

Un’area territoriale questa che pulsa di archeologia, dove la vocazione vitivinicola è ben chiara anche nei reperti, ed il Museo del Vino sito a Bianco aperto ai giornalisti per l’occasione (verrà inaugurato a breve) documenta la storicità di queste produzioni e racconta dei tanti palmenti, oltre 700, alcuni molto antichi, sparsi nelle colline bianchesi. Documenta l’antichità di questo vino anche la tecnica di appassimento delle uve, ancor oggi utilizzata anche perchè fissata dal disciplinare della Doc: raccolte rigorosamente a mano e poste delicatamente su graticci di canna al sole (alcuni produttori usano tecniche più moderne, ma ammesse). L’uva subisce un appassimento di 10-12 giorni, che può determinare, in relazione al contenuto in zuccheri, una riduzione di peso fino al 35%. Al termine avvengono pigiatura e torchiatura. La resa massima in vino al consumo non deve essere superiore al 45%. Oltre al Greco di Bianco Doc l’altro vitigno autoctono utilizzato per la produzione di un ottimo passito è il Mantonico, una Igt, vitigno che ha saputo catturare l’attenzione di Scienza. “Da reinventare, che può essere il nuovo volano dell’enologia del territorio. Più duttile, il Mantonico che, a differenza del Greco Doc – ottimo passito ma consumato principalmente nei momenti importanti quindi con potenzialità di mercato più ridotte -, risulta più adatto, nella versione secca, ad un uso immediato come richiesto oggi dalle nuove tendenze del bere”.