Intervista alla designer fiorentina che sarà protagonista di una masterclass a Taormina Gourmet. “Pochi contenuti e le idee chiare del produttore sono fondamentali”. Il caso del Tignanello
(Simonetta Doni)
di Fiammetta Parodi
Aspettando l’attesa masterclass che terrà a Taormina Gourmet (ne parleremo a breve su Cronache di Gusto) abbiamo intervistato Simonetta Doni, designer di alcune delle più celebri etichette d’Italia (tra i suoi clienti annovera Frescobaldi, Marchesi Antinori, Sella & Mosca, Dunnafugata e moltissimi altri) e titolare dello Studio fiorentino Doni&Associati.
Come è nata la sua attività di wine label designer?
“Come spesso accade, quasi per caso. Negli anni ’70 lavoravo come grafica per cataloghi d’arte, quando un amico mi propose di disegnare un’etichetta per la propria cantina di famiglia, Mazzei. Mi chiese però che, a differenza di ciò che avveniva solitamente, non ci concentrassimo solo sull’estetica, ma che riuscissimo a veicolare i concetti legati alla storia della famiglia, del territorio e del vino. In una parola: a trasmettere un’emozione. Racchiudere tutto ciò in uno spazio così limitato fu una difficilissima impresa di sintesi grafica, ma funzionò così bene che seguirono altri clienti ed altri ancora, finché decisi di dedicarmi esclusivamente a questo settore”.
Quale ruolo ha il committente nella nascita dell’etichetta?
“E’ una figura fondamentale, perché ci fornisce dei dati indispensabili. Innanzitutto, il mercato di riferimento, le modalità di commercializzazione – ad esempio tramite enoteca o grande distribuzione – la fascia di prezzo in cui si colloca e, ovviamente, la tipologia di consumatore. In base al destinatario il linguaggio visivo che adottiamo, infatti, cambia completamente. Proprio come nella sartoria, un evento importante necessita di un vestito elegante, per un evento meno formale si opta per capi meno impegnativi”.
Il vino viene spesso scelto per la sua etichetta: quali gli elementi perché un prodotto risulti vincente, e quali invece gli errori da evitare?
“Il numero di bottiglie sugli scaffali dei supermercati rende l’idea dell’estrema competizione visuale in questo campo. Confinate al retro della bottiglia le informazioni imposte dalla legge, gli elementi cui dare risalto in etichetta e le modalità per farlo non sono tuttavia fissi e prestabiliti. Ad esempio, nei prodotti di una cantina molto nota come Gaja tendiamo a dare spicco soprattutto al nome del produttore; in altri casi, invece, avviene il contrario: per vini celebri come Amarone, Barolo e Brunello facciamo sì che l’attenzione si focalizzi principalmente sulla tipologia, lasciando la cantina in secondo piano. Altrettanto importante è la provenienza geografica: per un vino trentino si useranno ad esempio colori freddi, mentre toni più caldi evocheranno un siciliano. Un errore da non commettere è invece quello di “caricare” eccessivamente l’etichetta di inutili orpelli che determinano solo confusione e perdita di chiarezza”.
Il restyling di un’etichetta storica è un’operazione delicata?
“Certamente. Un vino con un’immagine molto conosciuta non deve mai essere stravolto perché in questo modo si confonderebbe il consumatore. Pensiamo ad esempio all’etichetta del Tignanello di Antinori che negli anni, a forza di piccoli cambiamenti apportati per inserirvi i requisiti di legge, era stata completamente snaturata. In quel caso siamo ripartiti da zero, per giungere ad un’immagine che, anche con nuovi equilibri, rimanesse fedele al progetto grafico originario. Insomma, il restyling è una forma di restauro conservativo”.