(Achille Boroli)
di Michele Pizzillo
Quattro Barolo della vendemmia 2013 – da quello base, etichettato semplicemente Barolo, a tre da vigna: Cerequio, Villero e in anteprima la novità del cru Brunella – che Achille Boroli ha voluto fare degustare ad un piccolo gruppo di giornalisti per condividere il percorso “rivoluzionario” avviato quattro anni fa di puntare solo sulla produzione di Barolo.
Perché, spiega il produttore, “non vi è nulla di meglio che osservare la reazione di una persona che sta degustando il tuo vino, per poi poterlo gustare ancora meglio insieme a tavola, accompagnandolo con ottimo cibo”. Con il giudizio secco di un “mostro sacro” come Luca Gardini sui quattro vini, si può dire che la scelta di Achille è quella giusta: eccellente finezza, grande corpo, ottima longevità. Si potrebbe concludere qui l’articolo sulla degustazione organizzata a Milano dall’erede della famiglia proprietaria della famosa casa editrice De Agostini, finalizzato alla presentazione in anteprima del cru Brunella, accompagnato dai piatti preparati dal bistellato Antonio Guida di Seta, il ristorante dell’elegante Mandarin Oriental Milan (riso in cagnone con verdure, maccagno e polvere di lampone; petto di pollo ficatum con crema di cannellini alle alghe, fragola e garusoli; parfait alla liquirizia con cristalli di foglie di tabacco Ketnucky, pera alle spezie e crema al caffè).
(I vini in degustazione)
Decidiamo di scrivere l’articolo perché la straordinaria competenza di Luca, accompagnata dalla sua simpatica esuberanza – potrebbe anche farlo sembrare non molto simpatico – che però è una sorta di “marchio di fabbrica”, non si è fermata a finezza, corpo e longevità, perché nel parlare dei quattro Barolo di Boroli, ha interloquito con il piccolo concistoro di degustatori “convocati” al Mandarin, per arrivare alla conclusione che il cru Brunella è il vino che mancava ad Achille Boroli per concludere il suo percorso rivoluzionario che ha stravolto l’azienda vitivinicola di Castiglione Falletto, acquistata da genitori Elena e Silvano Boroli – da Giordano, quello che vende i vini per corrispondenza, che se ne disfece perché capì che il grande Barolo che poteva produrre non rispondeva al suo target di consumatori – quando decisero di cambiare vita e di dedicarsi alla vitivinicoltura, negli anni ’90.
(Brunella)
Achille, infatti, ha drasticamente ridotto la produzione: da 150 mila a 45 mila bottiglie. Eliminando dalla sua offerta tutti i vini più noti delle Langhe che fino al 2013 questa cantina produceva dalle uve provenienti dai vigneti storici come appunto Cascina La Brunella, Cerequio e vigna Villero, per dedicarsi esclusivamente alla produzione di Barolo. “Arrivammo a questa conclusione quando fummo consapevoli che non potevamo fare tutto, mantenendo il livello di eccellenza che ci eravamo prefissati. Quindi, il nostro obiettivo è stato quello di concentrarci sul Nebbiolo da Barolo: ci convincemmo che questo era il vitigno e il vino che meglio poteva esprimere l’unicità di questa eccezionale area geografica. E’ stata una decisione importante, che ci ha portati anche a vendere quelle vigne che non ci assicuravano le uve adatte per sostenere questo nostro percorso del quale, probabilmente, non avevamo valutato le difficoltà che avremmo incontrate. ”, confida Boroli ai suoi invitati mentre si animano i commenti sui singoli Barolo in degustazione. A convincere di più è propria la novità: il Brunella è già completo, con i suoi profumi molto fini, la trama elegante di sentori di spezie, di frutti rossi maturi, di rosa passita ed erbe officinali tipiche del territorio dove è ubicata la Cascina La Brunella, circondata da una vigna di 2,7 ettari, a Castiglione Falletto, che già nel 1666 era segnalata come la vigna che produceva solo uve per grandi vini. Tant’è che Achille ha fatto raccontare la storia di “Brunella. La nascita di un cru di Barolo” ad Alan Tardi che da cuoco si è trasformato in giornalista per testate come New York Times, Wine Spectator, Food Arts, Decanter, Wine & Spirits: un agile ed elegante libricino di 62 pagine, in 100 copie numerate che Boroli ha regalato, con dedica personalizzata, ai “convocati” all’anteprima del cru che, probabilmente, mancava per completare la rivoluzione dell’azienda Boroli. Che è la terza azienda italiana che commercializza i suoi vini attraverso il mitico négoce di Bordeaux Mahler-Besse.
(Il riso in cagnone)
Secondo Achille Boroli “un grande Barolo deve esprimere, oltre alle caratteristiche specifiche dell’uva Nebbiolo, la particolare annata dalla quale proviene. Ogni vendemmia è differente e quindi anche i vini debbono essere differenti”. Vediamoli.
Barolo 2013
È un vino piacevolissimo che compete con i tre blasonati proposti in degustazione. E’ bello il colore granato, come pure i profumi che di bacche rosse, di sottobosco e sentori di fungo fresco, sostenuti da una intrigante balsamicità. In bocca è fresco, sapido, avvolgente con tannini un po’ aggressivi all’inizio che si ammorbidiscono a mano a mano che il vino si apre. Insomma, una bella espressione di Barolo ottenuto dalle uve provenienti dai migliori vigneti di Castiglione Falletto e Barolo.
Barolo Cerequio 2013
Prende il nome dalla Borgata di Barolo e La Morra dove i Boroli hanno un’altra vigna adatta per ottenere Barolo strutturati ed austeri. Il Cerequio al naso sviluppa una sequenza di frutta rossa in confettura, fiori appassiti e una bella speziatura dolce. Al gusto a alle citate note si aggiungono tannini morbidi e vellutati, con una chiusura lunga che propone anche sentori di caffè appena torrefatto.
Barolo Villero 2013
Villero è la menzione più frazionata di Castiglione Falletto e questo Barolo ne esprime tutte le sue caratteristiche. Infatti è ricco, con profumi articolati tra note di piccoli frutti rossi, spezie dolci e sentori balsamici. In bocca di avverte subito il gusto raffinato dei tannini, una buona sapidità accompagnata da una bella struttura e da una freschezza che accompagna la persistenza sino al finale di un vino che abbisogna di un paio di anni per dare il meglio di sé.
Barolo Brunella 2013
La chicca di casa Boroli. Il cru che mancava e che già all’anteprima dimostra di essere pronto per soddisfare il palato degli appassionati più esigenti. Un vino, insomma, che convince già al naso e prosegue con grande soddisfazione riempiendo la bocca di frutti rossi di sottobosco, di fiori appassiti ed erbe officinali, di spezie tendenzialmente dolci e, probabilmente, una grande capacità di esaltare la terra più vocata per fare grandi vini rossi.