(Hans Terzer)
Continuiamo la pubblicazione di articoli dedicati ai vitigni d'Italia e raccontati da enologi e/o agronomi di fama.
Dopo che Mario Ronco ci ha parlato del Grignolino (leggi qui), Lorenzo Landi, toscano, ci ha raccontato il Sangiovese in questo articolo, Salvo Foti il Carricante (in questo articolo), Lorenza Scollo della Glera (leggi questo articolo) e Gianfranco Fino del “suo” Primitivo (leggi qui) oggi tocca ad Hans Terzer raccontare il Pinot Bianco. Terzer è il wine-maker della Cantina San Michele-Appiano che si trova nella provincia autonoma di Bolzano e che ha ricevuto il premio “Eccellenza” per il vino di punta della cantina, l'Appius. Terzer, nel suo articolo, ci parla di uno dei vitigni più famosi della sua zona, il Pinot Bianco.
di Hans Terzer
I primi tentativi di coltivazione dei vitigni bianchi risalgono a metà dell’Ottocento nelle proprietà dell’arciduca Giovanni d’Austria e di altre famiglie nobiliari. Tra questi, in particolare, il Traminer e Pinot grigio, ma anche Riesling e Pinot bianco. Fin da allora questo vitigno diede il meglio di sé, diventando presto una varietà di punta tra i bianchi del territorio. Dal 1874 in poi fu l’Istituto formativo e sperimentale di San Michele all’Adige a favorire la diffusione dei vitigni internazionali, tra i quali il Pinot bianco. Circa vent’anni dopo, alla prima “Fiera del vino di primavera”, Il Pinot bianco fu esposto come uvaggio assemblato con Pinot grigio e presentato semplicemente come Pinot o Burgunder; i due vini si ritrovano con lo stesso nome anche alle fiere successive dal 1910 al 1925. Il successo arrivò nel 1963 quando su un totale di 63 vini bianchi esposti, 23 erano Pinot bianchi.
(Pinot bianco)
Quale la coltivazione e lo sviluppo del Pinot bianco? Nel 1965 ci fu il primo censimento dei vitigni; con 445 ettari il Pinot bianco diventa il vitigno bianco più diffuso (lo Chardonnay in questo periodo veniva chiamato Pinot bianco giallo). Lo sviluppo è costante e arriva a una grandezza di 624 ettari. Nel 1984 lo Chardonnay ottiene la certificazione ufficiale. Oggi sono poco più di 500 ettari di Pinot bianco in Alto Adige, un calo dovuto agli ettari di Chardonnay che si distinsero dal Pinot bianco (l’agronomo francese Victor Pulliat aveva distinto lo Chardonnay dal Pinot bianco già nel 1868). A partire dal 1960 furono coltivati dei cloni di Pinot bianco con materiale privo di virus, delle rese più alte e stabili ed elevati tenori zuccherini. Fu dal 1985 che si decise di regolamentare le rese e determinare il passaggio dalla pergola all’allevamento a guyot; oggi la resa media è di 95 quintali all’ettaro. I cloni attualmente più diffusi sono Lb 16 e Lb 18, Dreher 209 e N 81, Francia 55 e Fr. 74 e Fr. 2101, mentre i portinnesti SO4, 125AA, 8B, 420°, Binova e Börner. E la vinificazione? La qualità inizia nei vigneti di Pinot bianco, coltivati a quote piuttosto elevate fino a 800 metri di altitudine, con una serie di accorgimenti: programmi di difesa, prescrizione sulle rese, pigiatura delicata e vendemmia in cassa, affinamento prevalentemente in botti d’acciaio, ma anche in botti grandi di legno e tonneaux, mentre l’affinamento in barrique è molto raro. L’asso nella manica è il potenziale di invecchiamento. Il risultato? Profumo elegante di mela, pera, limone e note di fiori di fieno, nocciola e mandorla e una vivace acidità; il Pinot bianco è perfetto come vino da degustare tutti i giorni con primi piatti leggeri, canederli e pesce.
Per concludere una panoramica sul mercato del Pinot bianco. Fino a 25 anni fa era consumato quasi esclusivamente in Alto Adige. Oggi i mercati principali sono l’Italia, la Germania e gli Stati Uniti. Sempre più spesso si producono vini di alta qualità e prestigio con le uve di Pinot bianco; ci sono circa 2-3 linee di qualità diverse in ogni azienda. Il Pinot bianco è il vino bianco prodotto, dal 15 al 30%, nelle varie aziende vinicole e nelle guide enologiche se ne parla sempre di più. Ciò a dimostrazione che gli sforzi che si stanno compiendo per questo magnifico vitigno stanno dando i loro buoni frutti.