Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Scenari

Il mancato successo dei vini italiani in Cina: “Mancati investimenti ed errori fatti nel passato”

18 Luglio 2017
cinesi_vino_2 cinesi_vino_2

Perché l’Italia è il primo produttore di vino al mondo ma non ha grandi brand influenti in Cina? Se lo chiede Yang Zhengjian, direttore e fondatore della piattaforma informativa Wine Business Observation, in un articolo che ha suscitato diverse reazioni e commenti, oltre a molte ripubblicazioni sulle pagine personali dei principali operatori cinesi.

Il portale winetimes.it, lo ha tradotto. Eccolo di seguito.

Negli ultimi anni, con un numero sempre crescente di persone che si avvicinano al vino, 大单品 ‘dadanpin’ è diventato un termine molto usato nel settore; si sono affermati sul mercato vini importati da Francia o Australia, ma perché il paese leader per produzione nel mondo non ha un prodotto simbolo? L’autore ne ha discusso con diversi operatori. Secondo Xu Youqian della società di Ningbo Saileyuan Wine [赛乐园酒业], che da 12 anni commercia vini italiani, la situazione non sta andando bene a causa di errori passati, in particolare la mancanza d’investimenti negli anni addietro e la scarsa conoscenza del mercato da parte dei manager mandati dalle aziende ad avviare e gestire le attività in Cina. Sono state di conseguenza perse opportunità importanti una volta che le tariffe d’importazione si sono ridotte: le piccole cantine non hanno adesso forza per far affermare un singolo brand; le grandi, con produzione oltre i 10 milioni di bottiglie, hanno perso opportunità.

I vini italiani hanno un piccolo pubblico, dice Dai Pengxuan, vice Gm della Sunrise International Wine [商源国际酒业], nella provincia dello Zhejiang. I consumatori non conoscono bene i prodotti e spesso li considerano vini di un paese produttore minore. Ai produttori italiani manca una pianificazione consapevole e strategica a lungo termine per il mercato cinese. La Cina è un mercato non ancora maturo, molti importatori iniziano con piccole quantità e l’investimento non è proporzionato al ritorno; molte aziende preferiscono quindi investire su altri mercati più redditizi.

Un altro operatore che da tempo lavora con i vini italiani, Wang Mengchun della provincia di Anhui, ritiene che le ragioni vadano individuate nella natura delle aziende italiane: ci sono, argomenta, decine di migliaia di cantine in Italia, la produzione è molto ricca e diversificata; ma la maggior parte di queste aziende sono imprese familiari, piccole cantine con poca forza, e le grandi aziende sono poche. Alcuni anni fa il vino italiano non andava male, ma alcuni privati si sono convinti che non era necessario investire troppo in promozione; di conseguenza le persone non ricordano prodotti particolari, ma soltanto nomi generici come Toscana, chianti, gallo nero, amarone, barolo, brunello e altre regioni o categorie; nessuno ricorda un ‘dadanpin’, un unico marchio di vino.

Alcuni produttori italiani hanno investito nel mercato cinese, ma spesso nella direzione sbagliata, aggiunge Dai Pengxuan: “Ogni anno i produttori italiani hanno sussidi dall’Unione Europea, ma le sovvenzioni vengono utilizzate in maniera troppo rigida e i produttori non sempre ascoltano i suggerimenti dell’importatore. Gli importatori vorrebbero per esempio utilizzare questi sussidi per partecipare ad alcune fiere o invitare i migliori clienti in Italia, ma i produttori non accettano i consigli e prestano maggiore attenzione ad avere i vini esposti nei supermercati; i risultati non sono sempre ottimali”.

Xu Youqian sottolinea anche le responsabilità di alcuni importatori cinesi, molti dei quali non hanno capacità di pianificare una promozione adatta a creare vini simbolo. Molti operatori, osserva, non sono abbastanza professionali, non hanno abbastanza risorse. Dai Pengxuan concorda: “Molti distributori cinesi dovrebbero riflettere sui propri problemi: sempre più persone investono nella promozione di vini come barolo, chianti, amarone; ad Hangzhou per esempio ci sono sempre degustazioni di questi vini. Ma sono davvero pochi gli operatori disposti a investire in una strategia a lungo termine su vini italiani con prezzo inferiore ai 3 euro: in questo segmento si entra in competizione diretta con vini francesi, australiani, cileni, che hanno un ritorno sull’investimento migliore degli italiani”.

“Alcuni importatori – conclude un operatore di Chengdu che preferisce rimanere anonimo – inseriscono i vini italiani soltanto per completare il portfolio, ma non hanno alcuna intenzione di impegnarsi in un investimento a lungo termine su un marchio italiano; da queste aziende difficilmente ci si può aspettare la costruzione di un brand”.

Fonte winetimes.it
 

C.d.G.