E Rapitalà guarda anche la Gdo
Centottanta appezzamenti per dodici vitigni tra autoctoni e internazionali, e una produzione di oltre 20 mila quintali di uve da circa 300 ettari , di cui 166 di proprietà. Sono i numeri della tenuta Rapitalà di Camporeale (Palermo), la maison siciliana che da quando è nata, nel 1968, ad oggi ha visto crescere il suo business fino ad oltre sei milioni di euro di fatturato. E tutto puntando sul terroir.
“La cantina è molto moderna e potrei realizzarla identica ovunque nel mondo – spiega Laurent Bernard de la Gatinais, in prima linea nella gestione dell’azienda di famiglia -, ciò che cambia è il terroir, e il lavoro che facciamo è quello di lavorare le uve che provengono da ciascun appezzamento in maniera diversa in relazione alle caratteristiche pedoclimatiche particolari, per valorizzare al massimo la combinazione terroir-vitigno”.
Ciascuna cultivar viene impiantata inoltre nella location più adatta, quella in cui il vitigno riesce ad esprimersi nel modo migliore, e i vigneti esterni all’azienda vengono scelti in base alle loro caratteristiche e seguiti in tutte le fasi più critiche. Così si arriva a fine fermentazione con un testimone per ciascun appezzamento, ovvero col controllo assoluto sulla produzione. In termini di mercato, questo si traduce in quindici prodotti che vengono distribuiti attraverso i canali di Rapitalà e di Giv, il Gruppo italiano vini che dal 1998 è partner della maison. “Un connubio che ha permesso di mettere assieme i vantaggi di un’impresa familiare, in cui ciascuno vive l’azienda come se fosse sua, e quelli di un grande gruppo, legati alle economie di scala che si ottengono, per esempio, per l’acquisto dei mezzi di produzione”, prosegue.
Fino al 2000 esisteva un’unica linea alla gdo e alla ristorazione, oggi ne esistono due. La prima linea è destinata all’horeca, e comprende dieci etichette tra cui Hugonis, blend di Cabernet sauvignon e Nero d’Avola che riporta in etichetta lo stemma del casato di Hugues Bernard de la Gatinais, padre di Laurent e fondatore della maison; il Grand Cru della casa, uno Chardonnay in purezza, e Cielo Dalcamo, vendemmia tardiva di Sauvignon blanc e Catarratto.
La seconda linea invece è rivolta alla grande distribuzione organizzata ed ha come protagoniste sei etichette. È tra queste che si trova Fleur, un Grillo in purezza da 12,5 gradi, l’ultimo arrivato di casa Rapitalà. L’abbinamento ideale è con primi piatti di pasta con verdure e crostacei, carni bianche, pesci alla griglia e al forno. L’etichetta rappresenta un mazzo di fiori stilizzato, che anticipa il bouquet raffinato nonostante il prezzo. Sullo scaffale si troverà infatti a 6,5 euro. “Abbiamo realizzato uno studio di mercato”, precisa, “ed abbiamo riscontrato che nella grande distribuzione aumentano le vendite di vini compresi tra i 5 e i 7 euro”. Una strategia orientata al mercato che Rapitalà continua ad adottare per mantenere il suo posto nel mercato. Cosa che riesce un po’ meno agli altri imprenditori siciliani del comparto. “I problemi della vitivinicoltura siciliana sono legati alla sovraproduzione, ma anche alla mancanza del ricambio generazionale e di management qualificato”, dice il manager, “sicuramente è importante oggi più di ieri un riassetto e una riorganizzazione più efficiente, in tutti gli anelli della filiera perché il settore è estremamente competitivo ed è necessario un grande lavoro da parte di tutti”. E sulla Doc Sicilia ha i suoi dubbi: “È vero che dovevamo pensarci qualche anno fa, ben venga, ma c’è da chiedersi se l’imbottigliamento in zona attirerà davvero investitori in Sicilia, con tutti i problemi logistici e strutturali che la nostra isola ha da sempre e che ultimamente sono purtroppo aumentati”.
Annalisa Ricciardi