(Domenico Basile – ph Paola Schillaci)
Può la passione per la cucina, per i piatti gourmet, per le materie selezionatissime e ricercate, spingere un giovane chef di Monreale, paese a 5 chilometri da Palermo, a fare le valigie e cercare fortuna (riusciendoci) in giro per il mondo?
Beh, per informazioni chiedete a Domenico Basile, 32 anni giovane chef monrealese che ha studiato all'istituto alberghiero Cascino di Palermo e ha deciso, un giorno, che non poteva rimanere fermo a Palermo. Ha iniziato a spadellare presto, a 15 anni, viaggiando tra l'hotel Villeroy e Tenuta Scozzari, tra il ristorante Gagini e Casa Florio, la sua prima esperienza di executive chef. Ma nel 2011 decise che era il momento di partire, fare nuove esperienze, confrontarsi con realtà di un certo livello: valigia e via, destinazione Parigi prima e poi alle Maldive dove dirigerà la cucina del Palm Beach Resort & Spa, grazie al supporto dello chef palermitano trapiantato a Milano Filippo La Mantia. Ma il suo trotterellare in giro per il mondo non finisce certo qui: dopo 2 anni e 4 mesi, si trasferisce a Mosca e va a lavorare da Nino Graziano, uno dei primi chef stellati della Sicilia. Da lì torna alle Maldive per poco tempo e poi parte per New York, la sua “casa” definitiva fino ad oggi. Ha lavorato presso “L'antica pesa”: i titolari hanno ristoranti oltre che nella Grande Mela, anche a Doha e a Roma. “Qui – dice lo chef – c'è una mentalità diversa e lo vedi anche nell'interpretazione della cucina. Le basi del nostro menu sono quelle della tradizione romana, ma stiamo dando un'impronta mediterranea ai nostri piatti, rendendoli più leggeri e facendo mescolare culture con altre culture”.
Già, perché Domenico, soprattutto alle Maldive, ha imparato molto l'utilizzo di spezie ed erbe aromatiche. E non c'è piatto in cui non ci sia presente almeno una di queste. “New York è una città troppo multietnica e trovi tutte le cucine del mondo disponibili tutti i giorni – dice Domenico – quidi devi proporre delle cose che possano colpire i clienti e falli tornare. Ci dedichiamo di più alla carne che al pesce, ma non potrebbe essere diversamente. Gli americani sono mangioni di carne e la qualità non si discute nemmeno. Ma vanno forti alcuni dei nostri piatti a base di pesce, come la caponata con il tonno e il sesamo, il risotto alla milanese con battuto di gamberi e il pesce in crosta di patate. Proponiamo delle cose nuove per loro, lontane dal loro credo “mangereccio”. E fino ad oggi, i risultati ci sono stati”. Dici America e dici innovazione: “Anche in cucina – dice Domenico – Allontaniamo gli stereotipi del fatto che qui si mangino solo cibo spazzatura. C'è, certo, ma come in ogni parte del mondo. E' compito nostro fargli conoscere un certo tipo di cucina. E fargli sapere che noi italiani non siamo quelli della pasta Alfredo o degli spaghetti con il ragù e le polpette”. Gli piace sperimentare, ha delle basi classiche, “come il buon maestro Marchesi ha insegnato a tutti”; ma non disdegna le cotture alternative, come quelle a bassa temperatura o sottovuoto: “Bisogna certo rispettare le regole – dice lo chef – ma anche proiettare la mente al futuro. Bottura, Alajmo e Crippa sono, in questo senso, dei geni. Io li adoro e ne traggo insegnamenti. Non per copiarli, ma per stimolare la mia fantasia a fare sempre cose diverse”.
Mano pulita e precisa, abile sperimentatore, non disdegna gli accoppiamenti insoliti (che gli riescono sempre), animo sereno e testa propiettata alla Sicilia: “I miei chef di riferimento qui? Pino Cuttaia e Ciccio Sultano sono il top, ma non solo della nostra isola – dice Domenico – Poi penso a Martina Caruso, Giovanni Santoro, amici/colleghi che stanno scalando le classifiche. Invidie? Ma quando mai. Sono felice per loro”. Già, loro che hanno conquistato la stella, la famosa stella Michelin. E lui che ne pensa? “Faccio una metafora calcistica: tutti i calciatori vorrebbero vincere il pallone d'oro, ma non tutti i campioni lo vincono. Penso un po' a Francesco Totti. E' un fenomeno, ma non ha mai vinto il pallone d'oro – dice – Beh, anche tutti gli chef vogliono conquistare la stella. Ma non tutti ci riescono. Ma per me non è un'ossessione”.
E delle denunce fatte da Report sullo sfruttamento degli chef in cucina che dice? “Ho visto la puntata e vi assicuro che nella mia carriera non sono mai stato sfruttato. La cucina è passione e sacrifici”. Ma non è che adesso tutti vogliono fare gli chef perché guardano Cracco, Ramsey e company a Masterchef? “Quello non è il mondo vero della cucina – dice Domenico – La cucina è altro. E lo sanno anche loro”. Ora è rientrato a Palermo per una pausa di riflessione: “Ho trovato una città migliore di quella che mi ricordavo – dice lo chef – Più dinamica e più proietatta al futuro. Perché sono qui? Ho voglia di provare a realizzare un mio sogno. Quello di aprire un locale tutto mio, diverso dai soliti, che proponga una cucina ricercata, ma che non stravolga mai il pensiero e il palato della gente su quello che hanno scelto”. E nel caso Domenico ha una valigia pronta per una nuova avventura all'estero.
G.V.