“Leggere e parlare di cibo
aiuta a sentirsi meglio”
Il suo libro “Perché agli italiani piace parlare del cibo”, edito da Sperling e Kupfer, ha vinto il premio Bancarella e, sebbene siano passati tre anni, la questione appare più che mai attuale. Elena Kostioukovitch, saggista e traduttrice russa che con le sue opere ha vinto numerosi premi letterari, che ha venduto in otto paesi il libro sulla nostra simpatica abitudine di parlare sempre di cibo e tra poco approderà anche nel difficile mercato americano, ci aiuta ad analizzare il binomio italiani-cibo, un connubio che appare più che mai vincente anche in un periodo di crisi come quello che il Bel Paese sta attraversando.
“Leggere e parlare di cibo o acquistare libri di cucina può essere un modo per esorcizzare la crisi e sentirsi meglio – dice -. Il cibo è un elemento che rallegra, che dà speranza. Nel mio libro racconto come doni emozioni positive ed è la storia a dimostrarlo. Nel Medioevo, ad esempio – spiega – i ceti più poveri si rallegravano solo alla vista del cibo del barone di turno. I pittori olandesi, con le loro nature morte che simboleggiano abbondanza, miravano a rassicurare. Ecco perché i libri che parlano di cibo trovano sempre mercato”.
Ecco perché, viene da pensare, australiani, coreani, giapponesi, polacchi, serbi, spagnoli, russi e ora anche americani, siano così interessati al perché gli italiani stiano sempre a parlare di cibo. Forse così si sentono rassicurati anche loro. Il libro della Kostioukovitch, dunque, fa furore. Si prepara a sbarcare nel mercato americano, mentre in Russia va così bene che stanno facendo una ristampa più dettagliata di 900 pagine.
“Il cibo è una promessa. Avere la dispensa sempre piena è la migliore promessa di sopravvivenza e proliferazione – dice la Kostioukovitch – e in tempi difficili in cui si parla insistentemente di recessione, si torna all’idea primordiale: avere provviste significa avere speranza di un futuro. Non a caso in Russia, ad esempio, in tempi di crisi, nelle case c’è più cibo che in tempi normali. Non a caso, del resto, i libri più venduti oltre a quelli di cucina, sono quelli d’azione: dietro entrambi c’è l’idea di potere fare qualcosa”.
Perché mai, poi, la più celebre traduttrice russa di Umberto Eco, che con la traduzione de “Il nome della Rosa” ha venduto più di 1.500.000 copie complessivamente in Russia e nei Paesi dell’ex Unione Sovietica, che ha tradotto Ariosto, Quasimodo, Pasolini solo per citarne alcuni, si sia lasciata sedurre dal “cibo tricolore” è presto detto: “È un fatto culturale – spiega -. Uno straniero ha una visone diversa di ciò che per un abitante di un paese è normale. C’è – come dire – una visione più profonda. Questo modo tipico degli italiani di parlare sempre di cibo mi ha incuriosita e ho voluto fare questo viaggio culinario che più che di cibo, parla dell’Italia. Io, del resto – conclude – non sono una gourmet e più che mangiare, mi piace scoprire cosa c’è dietro ogni alimento, la storia di chi lo ha prodotto. Mi interessa il cibo come momento di condivisione”. Un’idea vincente anche sul mercato russo, che si prepara ricevere una versione integrale del libro “Perché agli italiani piace parlare del cibo”: circa novecento pagine, divise in quattro volumi raccolti in un cofanetto che sarà disponibile per il prossimo Natale.
C. M.