Abbiamo chiesto ad alcuni enologi e/o agronomi di raccontarci il vitigno che più li rappresenta, la varietà di uve alla quale sono più legati dal punto di vista professionale.
Cominciamo questo percorso giornalistico affidandoci alla penna di Salvo Foti, grande conoscitore dell'Etna, che racconta in esclusiva per Cronache di Gusto il Carricante, il vitigno a bacca bianca più diffuso sull'Etna.
di Salvo Foti
Questo vitigno, sino agli anni '50, era il più diffuso vitigno a bacca bianca della provincia di Catania, occupando il 10% della superficie ad uva da vino. Intorno al 1885 fu anche introdotto nella provincia di Agrigento, Caltanissetta e Ragusa, non trovando però diffusione. Il Carricante è un vitigno autoctono antichissimo dell’Etna, selezionato dai viticoltori di Viagrande. E’ diffuso particolarmente nel versante est (750-950 metri sul livello del mare) della regione etnea, praticamente nelle contrade più elevate, dove il Nerello Mascalese difficilmente matura o nei vigneti in miscellanea con lo stesso Nerello Mascalese e con la Minnella bianca.
Entra nella costituzione dell’Etna Bianco (60%) ed Etna Bianco Superiore (80%) a Doc. Come tutti i vitigni autoctoni etnei, é a maturazione tardiva (seconda decade d’ottobre). Il Carricante, sull’Etna, dà vini contraddistinti da un’elevata acidità fissa, da un Ph particolarmente basso e da un notevole contenuto in acido malico, tanto che ogni anno è indispensabile far svolgere, al vino, la malolattica. Il vitigno Carricante se ben coltivato e opportunamente vinificato da origine a grandi vini bianchi d’inaspettata durata (oltre 10 anni), paragonati ai Riesling alsaziani, in cui predominano sensazioni olfattive di mela, zagara, anice, insieme ad un tipico gradevole nerbo acido al gusto che gli conferisce struttura e longevità.
Le contrade del Carricante
E’ nel comune di Milo, in contrada Caselle, che si trovano i migliori vigneti per la produzione del vino bianco dell’Etna. In contrada Caselle (900-920 metri sul livello del mare), si produce, in assoluto, il miglior Carricante, nobile ed antichissimo vitigno dal cui succo si ricava l'Etna Bianco Superiore. Qui i vigneti ad alberello, centenari, s’intrecciano con il bosco, con i frutteti, con i noccioleti e con essi condividono le nere terrazze e il vitale terreno. Le viti non sono mai regolari. Diverse una dall'altra, attorcigliate al loro palo di castagno, sembrano orgogliose della loro irregolarità: ogni vite ha una sua storia che il viticoltore conosce bene. In questa contrada, zona limite per la viticoltura, dove spesso il Nerello Mascalese non riesce a maturare bene (insoddisfacente contenuto in zuccheri e polifenoli), il Carricante ha trovato una connaturale ambientazione. I vini ottenuti, particolarmente ricchi di acidità fissa, con un alto contenuto di acido malico (2-5 grammi per litro) detto qui’ “‘U muntagnolu”, hanno bisogno di svolgere la “malolattica”, altrimenti risultano disarmonici al gusto, tant'è che è uso in queste zone lasciare, dopo la fermentazione, il vino su le proprie fecce fini. In tal modo, in primavera ai primi caldi, si favorisce la “fermentazione malolattica”.
A proposito dice Sestini: “I vini poi che si ottengono dalle vigne, che restano in quelle montagne più alte sulle falde del Mongibello, per il clima assai freddo si conservano perfettamente tutto l'anno, sopra la feccia o mamma come dicesi in Sicilia, senza essere travasati, maturandosi nella stagione più calda, lasciando quell'acerbità, che portano di natura sua, a tal segno che si rendono atti a resistere alla navigazione”. L’Etna Bianco Superiore trova il suo naturale equilibrio chimico-organolettico non prima di due anni dalla vendemmia ed in alcuni casi dopo tre-quattro anni (S. Foti). A tal proposito il professor Zappalà cosi si esprime: “…. E’ necessario che l’iniziale acidità fissa, spesso sorprendentemente elevata per un vino meridionale, diminuisca, in conseguenza del verificarsi di naturali fenomeni fisici e biochimici (precipitazioni tartariche e fermentazione malolattica) sino al limite per mantenere il vino abbastanza fresco, a volte appena acidulo, affinché arrivi fragrante nella bocca del consumatore e non piatto o, addirittura, molle, come sovente avviene con molti vini bianchi siciliani”. L’Etna Bianco Superiore, per le sue particolari caratteristiche, è stato paragonato ai Chablis prodotti nello Yonne, in Borgogna (Mazzei) .
Lo scrittore Mario Soldati nella sua pubblicazione “Vino al Vino”, riferendosi all'Etna bianco scrive: “… così l’Etna Bianco raccoglie e fonde, nel suo pallore e nel suo aroma, nella sua freschezza e nella sua vena nascosta di affumicato, le nevi perenni della vetta e il fuoco del vulcano”.
I profumi del Carricante e la sua mineralità
Appena versato nel bicchiere, il vino bianco di Carricante di Milo 100%, mostra la sua natura brillante. Il colore giallo paglierino con accesi riflessi verdi lo conferma. L’odore è intenso, ricco, ampio, fruttato con sentori di fiori di zagara e mela matura, che maturando ricorda molto il miele. Il suo sapore secco con piacevole acidità e gradevolissima persistenza aromatica dal retrogusto di anice e mandorla, stimola lungamente le papille gustative, e dopo ogni bicchiere il palato è pronto per il prossimo. Il tutto è reso fluido da un alcol contenuto di 11,5-12 gradi al massimo. I “sentori minerali” percepiti in un vino, possono richiamare gli stessi elementi minerali presenti nel terroir d'origine. Se il vino è “un vino di vigna”, nel senso che si rispetti l’integrità dell’uva senza particolari manipolazioni in cantina e proviene da un terreno di viva matrice geologica, come le sabbie vulcaniche, la mineralità è una componente che certi vini presentano in modo ben definito, spesso sovrastante sulle altre caratteristiche.
La mineralità di un vino è una caratteristica più manifesta al gusto che all’olfatto. Le sensazioni olfattive possono essere fortemente influenzate dal vitigno, dal clima e dal tipo di affinamento. A livello olfattivo le sensazioni minerali si evidenziano maggiormente nei vitigni poco o per nulla aromatici. Probabilmente alcuni microelementi presenti in particolari matrici geologiche possono avere un’azione catalizzante nella sintesi e combinazione di alcuni profumi. Come dire il vitigno è predisposto a certi profumi e sapori che si evidenziano ed esaltano solo in certi particolari terreni.
Nella zona etnea, la natura del terreno è strettamente legata alla matrice vulcanica. Può essere formato dallo sgretolamento di uno o diverse tipi di lava, di diversa età e da materiali eruttivi recenti quali i lapilli, ceneri e sabbie. Questi terreni vulcanici, a reazione sub acida, sono ricchi soprattutto in microelementi (ferro e rame, silice e tanti altri). Un vino etneo, spesso indipendentemente dal vitigno, è riconoscibile soprattutto al gusto. E’ al palato dove più si nota una evidente “mineralità”, cioè una sensazione netta di sapidità accompagnata sempre da una piacevolissima e persistente acidità: a volte sembra di mangiare una sottile fetta di limone verde con sopra del sale. Caratteristiche che, anche in presenza di gradazioni alcoliche elevate, rendono i vini mai pesanti, eleganti e persistenti al gusto.
Esiste la possibilità che in determinate situazioni, esempio in una vigna vicinissima al mare, esposta ai venti, l'accumulo di sostanze minerali, come la salsedine, il cloruro di sodio, avvenga per via meccanica, cioè per azione del vento, e che questo si rifletta sul vino. Non ci scordiamo che la vite vive all’esterno. E’ influenzata da tutto quello che gli sta attorno e sopra 24 ore su 24, sempre. La salsedine, portata dai venti, può depositarsi sull’uva e con essa arrivare in cantina e quindi nei nostri bicchieri.
Inoltre, anche se non scientificamente studiato, si crede che il fiore della vite ha la capacità di assorbire gli odori degli altri fiori circostanti e conservarli nell’acino. Le api in questo hanno una particolare funzione. Nelle vecchie vigne la coltivazione di tanti alberi da frutto e di erbe aromatiche, svolge questa funzione.
(Salvo Foti)
La ricerca
Estatto da “Antichi vitigni, vecchie e nuove tecnologie per vini di qualità”. Un’indagine scientifica (Indagine sulla natura e sul contenuto di alcune classi di polifenoli in uve prodotte nella Sicilia orientale), durata diversi anni e finalizzata al miglioramento qualitativo nella produzione di vini a Doc dell’Etna, fu svolta, dal 1988 a inizo anni 90, da Salvo Foti in collaborazione con l’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti: il più importante istituto di ricerca enologica in Italia, allora diretto dal Dott. Rocco Di Stefano. L’indagine prese in esame uve e vini delle più importanti varietà autoctone etnee: Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio a bacca rossa e Carricante, Minnella Bianca e Vesparola (nome locale di varietà non ben identificata) a bacca bianca. Lo studio chimico prese in esame il cosiddetto “profilo polifenolico”, cioè quelle sostanze che formano il colore e la tannicità dell’uva e del vino, e il “profilo aromatico”, ossia quei costituenti (precursori d’aroma) che evolvendosi nel vino ne determinano l’aroma olfattivo, il cosiddetto “bouquet”. Il sistema di allevamento dei vitigni da cui provenivano le uve oggetto d’indagine era quello tipico ad alberello, da sempre utilizzato nella regione etnea.
Risultati dell’indagine: Il Carricante
Questa varietà si rivela a maturazione tardiva. Il mosto, da essa ottenuto, presenta, in genere, un’acidità sensibile e un alto tenore di acido caffeiltartarico. Dal punto di vista aromatico, le uve si rivelano neutre, a scarso tenore di composti terpenici (moscato), ma con la presenza di un interessante precursore aromatico, il Tdn 1,1,6-Trimetil-1,2-Didronaftalene, che conferisce al vino Carricante, se opportunamente vinificato e invecchiato, note complesse, e caratteri aromatici tipici molto interessanti, riconducibile all’aroma di Riesling invecchiato.