di Gianni Paternò
Piccolo è bello. E spesso è anche buono. E’ quello che succede con Palari, una piccola azienda di Messina che fa all’incirca 35 mila bottiglie ma solo quando gli anni sono favorevoli.
In compenso Palari, dal nome della vigna, è una cantina tra le più note ed apprezzate non solo nell’ambito isolano. Non c’è guida enoica che non dia i massimi riconoscimenti al suo Faro, il vino della minuscola Doc che ricade solamente nel territorio di Messina e che proprio il suo proprietario Salvatore Geraci, ha resuscitato.
(Salvatore Geraci)
La famiglia Geraci, messinese, da generazioni possiede un’azienda agricola principalmente di agrumi con vigne piantate dalla fine dell’Ottocento. Il nonno Salvatore era un agricoltore di altri tempi, uno che non si sporcava le mani in campagna, uno che amava le cose buone specie a tavola e che comunque faceva un buon vino solo pestando le uve. I vigneti erano solamente 7 ettari tutti ad alberello in colline abbastanza scoscese, terrazzate in pietra, che si spingevano fino ai 600 metri a poco più di un chilometro dal mare.
(I vigneti di Palari e la Calabria sullo sfondo)
Salvatore Geraci, che oltre a fare il poco vino più per passione che per reddito, fa l’architetto, progetta e restaura edilizia, negli anni '80 conobbe Luigi Veronelli e cominciò a collaborare con la sua rivista L’Etichetta, dove scrivevano Daniele Cernilli, Luca Maroni, tanto per fare qualche nome. Nel 1990 Geraci accompagnò Veronelli a vedere le sue vigne e il grande giornalista ne capì l’importanza invitandolo a salvare la Doc Faro costituita nel 1976 che non aveva ancora il minimo di 3 produttori aderenti. Contemporaneamente conosce Donato Lanati e facilmente lo convinse a collaborare per fare un vino eccezionale che quel terroir eccezionale era capace di esprimere, da quelle vecchissime viti che producevano poco. Iniziò così questa bella avventura facendo il vino come si faceva in Francia, sviluppando i lieviti, usando la temperatura, affinando a lungo in barrique, la prima delle quali gli fu regalata da Franco Giacosa allora direttore tecnico di Duca di Salaparuta.
(La bottaia)
Il primo millesimo con Lanati, che lo definì il miglior vino da lui vinificato – e di grandi vini Lanati ne faceva – fu il 1990; Veronelli quando l’assaggiò ne scrisse sull’Espresso definendolo il Romanée Conti d’Italia. Tutti lo chiedono ma le bottiglie sono solo 1.200, fatte in una cantina ricavata dalla vecchia villa padronale, che andavano e vanno sul mercato solo quando hanno avuto la giusta evoluzione. Comincia così l’avventura che farà di Palari una chicca nel panorama vinicolo mondiale.
Gli ettari sono sempre 7 e solo 3 sono classificati nella Doc Faro, i migliori, quelli esposti a sud, sud-est. Coltivazione che è un mélange di biodinamico, biologico, tradizionale, la sua filosofia è fare il meno possibile purchè il vino venga bene, se c’è un’annata non perfetta altrimenti che vino uscirebbe?
Come molti dei grandissimi vigneron francesi, Geraci fa solo 2 vini con una terza etichetta che quasi non conosce nessuno, il Santa Né. Ma parliamo di quelli più noti: il Faro e il Rosso del Soprano, classificato come semplice Igt Sicilia ed è quello che degustiamo. Le mani in campagna le mette il fratello Giampiero, agronomo. Le uve sono Nerello Mascalese al 60% circa, Nerello Cappuccio, Nocera, e minime quantità di altre autoctone locali ormai relitte; la vendemmia inizia a fine settembre e dopo selezione in campo e in cantina il mosto fermenta con lieviti autoprodotti a 28-31° di temperatura. Ancor prima di finire la fermentazione alcolica, è messo in barrique di secondo passaggio, quelle che fino all’anno precedente erano usate per il Faro, dove svolge la malolattica, rimanendovi fino ad un anno e mezzo. Non fa chiarifica, nè filtrazione, solo una leggera sgrossatura, i solfiti sono aggiunti in minima parte e i lunghissimi affinamenti (l’ultimo Faro appena in commercio è il 2010, l’ultimo Rosso il 2012) ne fanno svanire la gran parte: fa circa un anno e mezzo in bottiglia prima di uscire.
Versato nel calice il colore è rosso rubino scarico, tendente al porpora, quello tipicamente naturale del Nerello Mascalese. All’olfatto iniziali note di piccoli frutti rossi che con l’ossigenazione sono accompagnate da sentori terziari di pepe, cioccolato, liquirizia, un tantino di cuoio. In bocca è intenso, armonico, potente, ampio, di grande struttura, con tannini presenti ma avvolgenti, di giusta acidità, con un finale molto lungo e un retrogusto appena amarognolo. Secondo Geraci, il Rosso del Soprano è quello che dovrebbe essere un Faro tradizionale.
Abbiniamolo a piatti a base di carne: rigatoni al ragù, grigliata mista, formaggio ragusano di media stagionatura. Noi l’abbiamo apprezzato con un filetto di maialino dei Nebrodi al rosmarino. Ma merita anche di essere gustato in salotto accompagnato solo dal vostro piacere. Sono 15.600 bottiglie che allo scaffale acquistate a 19 euro.
Rubrica a cura di Salvo Giusino
Palari Az. Agric.
Santo Stefano Briga
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