Una crescita boom che non è destinata a fermarsi. Prospettive radiose. E qualche preoccupazione che serpeggia. E che impone atteggiamenti cauti e guardinghi. In poche parole si condensa l'Etna del vino, uno dei territori più intriganti d'Italia testimoniato dai tanti produttori (neofiti e non) che hanno deciso di scommetterci.
Partiamo da un dato che non è del tutto inedito, ma fotografa bene la situazione. Confinando l'indagine sulla Doc Etna balza agli occhi la superficie vitata. Erano 442 gli ettari iscritti alla Denominazione nel 2007. Sono diventati 771 nel 2014, ultimo dato disponibile. Ed è un numero per difetto perché è certo che gli ettari sono aumentati ancora. Certo, in termini assoluti, sono piccoli numeri, ma quali territori del vino in Italia hanno avuto questa crescita esponenziale? È uno dei dati che ha snocciolato il presidente del consorzio dell'Etna Doc Giuseppe Mannino in un'affollata assemblea dei soci che si è tenuta presso la cantina Terrazze dell'Etna. Un'occasione per fare il punto sulla situazione, decretare l'ingresso di nuovi soci, ben 17, e tracciare prospettive e manifestare qualche timore.
Un altro dato, il vino certificato: è passato dai 9.400 ettolitri del 2012 ai ventimila del 2015. Cioè la quantità del vino prodotto è più che raddoppiata in tre anni. Non è poco. Tanto che oggi il consorzio è orientato a cercare di avere un quadro sempre più approfondito. Quante giacenze? Quale il prezzo medio? Domande a cui al momento non è possibile dare delle risposte, ma non bisognerà perdere troppo tempo. Sulle giacenze si capisce che serve la massima attenzione perché tutto sia sempre Etna e non ci siano speculazioni. Non aiuta il fatto che il consorzio al momento non abbia l'”erga omnes” che gli darebbe mano libera nel tenere sotto controllo la situazione. Ancora oggi si cerca faticosamente di raggiungere la fatidica soglia del 40 per cento dei viticoltori con terreni iscritti alla Doc e quindi l'obiettivo di avere un consorzio che può decidere per tutti e vigilare. “Siamo fermi al 32/33 per cento dei viticoltori – spiega Mannino – ma ce la faremo. Mentre nessun problema sul vino Doc prodotto. Siamo al 92 per cento, di gran lunga oltre il 66 per cento richiesto dalle norme come quantità minima per avere l'”erga omnes””.
Altre cifre testimoniano una crescita esponenziale. Prendete per esempio le bottiglie prodotte. Con ventimila ettolitri si fanno due milioni e mezzo di bottiglie. E più o meno è il quantitativo che verrà fuori col vino certificato nel 2015 (che può comprendere varie annate ovviamente). Chi sa far di conto, stima il prezzo minimo di vendita franco cantina attestarsi sui 4 euro a bottiglia. Che sale a sei euro se si calcola il prezzo medio. Se questo fosse realmente il prezzo medio si potrebbe azzardare anche il fatturato dell'Etna Doc: circa 15 milioni di euro calcolando la produzione di due milioni e mezzo di bottiglie. Ma ci sembra una stima al ribasso. Mentre già ci si chiede quale contributo chiedere ai produttori una volta raggiunta l'”erga omnes”. Cinque centesimi per chilo di uva e bottiglia prodotta? Potrebbe essere una ipotesi. Che con i numeri di oggi (destinati comunque a crescere) potrebbe portare alle casse del consorzio circa centomila euro. Non sono molti, ma potrebbero bastare per avviare un funzionamento più solido. Sempre che i produttori siano d'accordo. Nelle Langhe, tanto per fare un confronto, i produttori iscritti alla Denomimazione di Barolo e Barbaresco pagano una quota associativa (il minimo è 180 euro all'anno se fai diecimila bottiglie, il massimo ottomila euro se ne fai più di un milione) più 0,05 centesimi a bottiglia se fai solo Barolo e Barbaresco ed i soldi sono utilizzati per la tutela della Docg.
C'è dell'altro. Come il boom della produzione di spumanti: diecimila bottiglie certificate con l'annata 2011, settantaduemila quelle certificate nel 2014, appena tre anni dopo. Oppure il rosato: la quantità del vino prodotto è passato dal 3,9 al 5,1 per cento. O ancora i bianchi, che rosicchiano spazio ai rossi. Forse complice il millesimo, ma nel 2014 i vini bianchi sono passati dal 18 al 22,2 per cento rispetto all'annata precedente. Tutto questo mentre i soci iscritti al consorzio veleggiano verso quota 100. Nell'assemblea di due giorni fa ecco chi è stato ammesso: Crasà, Calcagno, Cantine di Nessuno, Conte Uvaggio, Donnafugata, Contrada Santo Spirito di Passopisciaro, I Vigneri di Salvo Foti, Le Case del Merlo, Andrea Marletta, Roberto Miraglia, Murgo, Oteri, Palmento Caselle di Simone Foti, Nino Serafica, Salvino Benanti, Terre delle Ginestre di Junko Nishikawa e Monterosso.
Un exploit di nuove aziende e di produzione che fa emergere un paradosso. L'Etna del vino è un territorio antico, antichissimo. Ma a guardarlo bene è poco più di un neonato. E il futuro per quanto radioso va solcato con gli occhi bene aperti.
C.d.G.