di Elena Mancuso
Le conseguenze di quel divieto si risentono ancora oggi. Se oggi i polli sono così “in carne” da essere uno dei cibi più diffusi nel mondo, la ragione è nella Regola Benedettina che nel 534 ha proibito il consumo di carni di quadrupedi.
A scoprire l'impatto dell' “ora et labora”, portando nei secoli a selezionare gli animali portatori di una variante genetica che li rendeva più grassi, è stata l'analisi del Dna dei polli fatta dal biologo evoluzionista Greger Larson, dell'università di Oxford, che ha presentato i dati nel corso del settimo Simposio internazionale di archeologia biomolecolare a Oxford. I polli che mangiamo oggi nelle nostre tavole sono molto diversi dai primi addomesticati all'incirca 7000 anni fa probabilmente nelle foreste del sud est asiatico. Oggi sono infatti molti più grossi e la causa di tutto, secondo uno studio del 2010, dovrebbe essere stata la diffusione di un particolare gene (Tshr) considerato responsabile in modo indiretto di un aumento della fertilità di questi uccelli e un incremento della loro massa, soprattutto del petto.
La storia della diffusione del gene è stata ricostruita solo ora studiando i resti di Dna ritrovato in siti archeologici europei di varie epoche, fin dal III secolo a.C.. Secondo i dati la presenza del gene “nuovo” esplose rapidamente circa 1000 anni fa: un fenomeno inspiegabile per i “normali” meccanismi evolutivi, ma spiegato da ragioni storiche. A partire dal X secolo la Chiesa e l'intera società dell'epoca furono rivoluzionate da un movimento ecclesiale, la cosiddetta riforma cluniacense, che aveva tra i fondamenti l'applicazione rigida della regola benedettina (istituita nel 534). Nella regola si proibiva il consumo di quadrupedi: una novità che non solo trasformò i pasti degli ecclesiastici (ma anche dei contadini) ma anche il petto dei polli. Il maggior consumo di pollo portò rapidamente a preferire l'uso di galline più produttive (con la variante Tshr) le cui caratteristiche si diffusero portando ai polli “in carne” che conosciamo oggi.