Doc Locorotondo
di Gianni Paternò
La Valle dell’Itria, splendido territorio baciato dal sole caratterizzato da uliveti, vigneti, muretti a secco, nonchè dai tipici trulli, è quell’altopiano pugliese che comprende i territori di Locorotondo, Martina Franca, Cisternino, Ostuni, Alberobello. In questa terra da sempre famosa per i suoi vini bianchi, Giuseppe Cardone nel 1970 acquistava uve e ne faceva vino che arrivava sfuso ad arricchire quelli piemontesi e francesi. Nel 2002 l’azienda diventa una Srl di famiglia dove il figlio Franco si occupa un pò di tutto, sua moglie Angela fa l’amministratrice. I figli Marianna e Vito rispettivamente il direttore commerciale e il tecnico di cantina.
(Angela, Vito e Marianna Cardone)
Nel frattempo hanno acquisito 10 ettari di vigneti e continuano a rifornirsi di uve dai loro storici produttori. La Valle dell’Itria è principalmente terra di vini bianchi che oltre nell’omonima Igp sono coniugati nelle Doc Locorotondo, Martina Franca, Ostuni, tuttee tre con gli stessi vitigni; una volta questi vini servivano come base per i vermouth, quando questa bevanda era particolarmente di moda. Altre uve provengono da Sava, Manduria, Montemesola, Gioia del Colle per il Primitivo e lo Chardonnay; dal brindisino per il Negroamaro. I Cardone sono attenti alla qualità delle loro uve e si affidano alla consulenza agronomica di Peppino Palumbo, nome noto in Puglia, visto che il fratello Leonardo è tra i più noti enologi della regione e si occupa della consulenza in cantina.
La produzione media è di 15 mila ettolitri di cui buona parte continua a seguire la via del nord come sfuso mentre l’imbottigliato sale vertiginosamente ogni anno. Nel 2015 le bottiglie sono state 250 mila, molte vendute all’estero, suddivise in 12 etichette. Particolare attenzione è rivolta all’ospitalità con visite in vigneto ed in cantina.
Degustiamo il Castillo il cui nome prende spunto dalla rocca di Locorotondo. E' composto in prevalenza da Verdeca, neutra, beverina, poco alcolica, poi Bianco d’Alessano, più rotondo e strutturato, infine da Fiano, fine e profumato. L’altopiano è a 500 metri di altezza con suoli carsici a scheletro misto. Le 3 uve che provengono dai vigneti già nelle percentuali come da disciplinare sono vendemmiate a fine settembre con una produzione di 80 quintali per ettolitro.
(Grappolo di Verdeca)
In cantina le uve sono pigiate sofficemente ed il mosto si illimpidisce staticamente a temperatura molto bassa; fermentazione a temperatura di max 20° con lieviti selezionati e affinamento in acciaio. All’imbottigliamento chiarifica non con prodotti di origine organica e filtrazione. I solfiti sono aggiunti classicamente in vinificazione e all’imbottigliamento, ma alla fine sono al massimo solo 90 milligrammi per litro.
Versato nel bicchiere il colore è giallo paglierino. All’olfatto si erge iniziale l’erbaceo tipico della Verdeca, poi agrumi, fiori freschi di prato, mandorle amare, note minerali provenienti dal substrato roccioso, un naso particolare, equilibrato, fine. Al palato spicca il grande equilibrio acido-minerale, è sapido il giusto, di buona struttura che va crescendo al retrogusto. Un vino di interessante beva.
Un bianco da abbinare classicamente, lo consigliamo con le trenette al pesto, con le orecchiette alle cime di rapa, con una frittata con parmigiano e menta, con una burrata. Sono 20 mila bottiglie prezzate allo scaffale a 6,50 euro.
Rubrica a cura di Salvo Giusino
Cardone Vini Classici
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