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Scenari

Così il clima cambierà la geografia dei vini

22 Marzo 2016
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In un futuro non troppo lontano, chi vorrà continuare a bere un Pinot nero o uno Chardonnay, dovrà 'accontentarsi' di quelli cresciuti in vigne tedesche, e non più della Borgogna o della regione di Bordeaux. 

Il riscaldamento provocato dall'uomo negli ultimi 30 anni, che ha già fatto anticipare di 2 settimane la vendemmia dal 1980, promette di cambiare infatti la geografia dei vini e delle zone di origine. Bisognerà puntare su varietà di uva adatte a climi più caldi, e spostare questi celebri vitigni in altre zone, finora considerate troppo fredde. È la previsione dello studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change e coordinato da Benjamin Cook, del centro Goddard della Nasa, che ha passato in rassegna i dati dei vitigni di Francia e Svizzera dal 1600 al 2007. L'analisi mostra che dal 1980 in poi le vendemmie d'Oltralpe iniziano due settimane prima rispetto a 400 anni fa.

Finora le annate migliori per un vino di qualità erano considerate quelle con estati calde e piogge sopra la media all'inizio della stagione di crescita e siccità alla fine. Ma i ricercatori hanno visto che mentre le temperature calde portano ad un anticipo delle vendemmie e vini di maggiore qualità, dal 1980 l'impatto della siccità è praticamente scomparso per via del cambiamento climatico, tanto da renderla sostanzialmente 'inutile' ai fini della maturazione dell'uva per la vendemmia.

Le regioni interessate sono quelle più famose, come Alsazia, Champagne, Borgogna, e Lingua d'oca, dove vengono prodotti Pinot nero, Chardonnays e altre varietà adatte a climi più freddi.

Le ondate di calore estremo sono diventate più frequenti a causa del riscaldamento indotto dai gas serra. La Francia si è riscaldata di 1,5° gradi in più nel 20° secolo, e la salita continua. ''Finora un'annata buona era un anno caldo – aggiunge Wolkovich – Ma Il 2003, l'anno con l'anticipo record di un mese della vendemmia, non ha prodotto vini particolarmente eccezionali. Ciò significa che se il calore continua a salire, i vigneti non potranno resistere per sempre''. Sarà quindi necessario puntare su varietà di uve differenti, sconvolgendo così la geografia delle zone di origine e dei vitigni.

Proiettando questo effetto entro il 2050, un altro studio ha previsto che i due terzi delle attuali regioni del vino potrebbero non avere più il clima adatto ai vitigni attuali, ma altre regioni potrebbero esserlo. Le uve non più adatte alla Napa Valley californiana potrebbero trovare rifugio a Washington o nella British Columbia, mentre le vigne australiane potrebbero doversi spostare in Tasmania.
I cambiamenti climatici pesano anche sul Vigneto Italia, con un anticipo medio della fioritura di otto-dieci giorni, e il rischio diffuso di vini più alcolici. Tuttavia la tipicità è salva, grazie a interventi agronomici tra i filari e a un maggior ricorso all'irrigazione. A dirlo all'Ansa, è Diego Tomasi, che dirige il centro di ricerca e la Scuola di Viticoltura ed Enologia di Conegliano. “Il rischio di produrre vini più alcolici – sottolinea l'esperto – non risponderebbe a quel che chiede il mercato oggi. Rischiamo la scomparsa nei bianchi di sentori floreali per una prevalenza di aromi tropicali, o di frutta matura. L'Amarone però è avvantaggiato, con una produzione ottima e vini belli corposi”.

Da noi “possiamo datare l'inizio dell'impronta dei cambiamenti climatici dal 1998” osserva Tomasi nel sottolineare che “da un periodo di fioritura abbreviato e pertanto di un anticipo dell'invaiatura conseguono mediamente vini più alcolici. E in un momento in cui a livello mondiale c'è forte attenzione sugli spumanti, diventa purtroppo più difficile mantenere l'acidità delle uve destinate alla produzione di spumanti, Champagne e Prosecco. In Italia, tuttavia – rimarca il direttore del Centro di ricerca di Conegliano – la tipicità dei nostri vini non è stata messa in discussione. Per mantenere la freschezza e l'acidità la viticoltura trentina, ad esempio, ha spinto lo Chardonnay e il rinomato Pinot Nero destinati a base spumante fino a quota 600 metri in Valle di Cembra. In generale, sono state trovate soluzioni agronomiche, cambiando l'orientamento dei filari, rivalutando la pergola, spingendo in altezza la viticoltura, prolungando lo sviluppo vegetativo. Ma ora occorre ragionare sulla regimentazione delle acque per far fronte alle sempre più frequenti precipitazioni, le cosiddette bombe d'acqua. L'irrigazione – continua Tomasi – diventa importante non più per conservare la quantità della raccolta, ma per preservare la qualità”. In prospettiva, a giudizio del ricercatore del Crea, “per far fronte al cambiamento climatico servirà una “genetica di soccorso” e da parte dei Consorzi un ripensamento dei disciplinari di produzione con un rialzo delle rese del 10%-15%”.
C.d.G.