di Fabiola Pulieri
La nuova moda degli Home, pop up o underground restaurant, che ha preso piede negli ultimi anni in tante città italiane, dettata molto probabilmente dalla crisi e dalla capacità istrionica di noi italiani di saper essere inventori e cuochi allo stesso tempo e barricatasi poi dietro la scusa del voler far conoscere la cultura del nostro cibo e la tipica cucina familiare, rischia adesso di essere stroncata da leggi e regolamentazioni che vorrebbero definirne i confini.
Una prima iniziativa era stata avviata lo scorso anno nella capitale, con una circolare comunale promossa dall’allora assessore alle Attività Produttive di Roma, Marta Leonori, che aveva annunciato per gli Home Restaurant l'equiparazione alle medesime regole dei ristoranti.
Con l'inizio del nuovo anno è partita all'attacco anche la Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe) che, in un'audizione alla Camera dei Deputati tenutasi lo scorso 19 gennaio, ha chiesto l'adozione di azioni a tutela dei consumatori e a difesa della regolamentazione fiscale e contributiva. Un primo pronunciamento da parte delle istituzioni c'era stato con la risoluzione n.50481 del 10 aprile 2015 del Ministero dello Sviluppo Economico, che aveva considerato gli Home Restaurant a pieno titolo come attività imprenditoriali. Ma sono trascorsi 9 mesi da allora e la Fipe sostiene: “Gli Home restaurant sono una distorsione del mercato. Questa attività, così come esercitata oggi, è posta in essere al di fuori di ogni regola e quindi deve essere contrastata con decisione dalle autorità competenti” – ha dichiarato il direttore generale della Fipe, Marcello Fiore – “Alla luce di queste considerazioni, come Federazione, sollecitiamo il Governo ad adottare misure che impediscano questo attentato alla salute pubblica e mettano freno ad una evasione fiscale e contributiva pressoché totale”.
“In Italia, oggi, ancora nessuno vieta di organizzare cene in casa tra privati, il fenomeno dell’Home Food e dell’Home Restaurant è un fenomeno in forte crescita, ma va visto e considerato come un fenomeno in primis di socializzazione e di condivisione del patrimonio culturale ed enogastronomico italiano, un fenomeno sporadico. Quindi, prima di mettere delle leggi che vietino attività tra privati in case private gli enti preposti dovranno pensarci bene. Qualora volessero chiedere alle cucine delle nonne italiane di rispettare i parametri delle cucine professionali dei ristoranti si farebbe una cosa priva di buon senso”, spiega Daniela Chiappetti, presidente dell’Associazione Home Restaurant Italia (www.homerestaurantitalia.it) e promotrice, insieme al marito Michele, di uno dei primi Home Restaurant di Roma (www.homerestaurantroma.it).
Dunque questi eventi di social eating sono da considerarsi realmente casi sporadici o invece in più di una occasione sono diventati un vero e proprio business? Certo è che non servono autorizzazioni del Comune o dell'Asl, comunicazioni alle Questure, autorizzazioni alla somministrazione, abbonamenti Tv o pagamenti di diritti Siae, destinazione d'uso dell'edificio, conformità degli impianti elettrici, impianti specifici per la conservazione degli alimenti, cucine a norma e idoneità sanitaria delle attrezzature, tabelle alcolemiche ed etilometro a disposizione, limiti dettati dalla legge sul fumo e via dicendo e, dal punto di vista fiscale, fino a un massimo di cinquemila euro annui lordi, è possibile svolgerla come attività lavorativa occasionale senza partita Iva.
Proprio in merito a tali e tanti requisiti, ai quali è costretta a sottostare un'attività di ristorazione, la Fipe insiste per una legiferazione in materia e una regolamentazione di tale fenomeno che crea concorrenza sleale e mette in pericolo i consumatori.
Il fenomeno degli home restaurant è proliferato e cresciuto grazie al web e ai siti e portali ai quali ci si può iscrivere per procurarsi clienti. Uno dei più attivi è Gnammo, sito che raccoglie migliaia di cuochi casalinghi e più di 50 mila utenti mensili e in cui è possibile trovare home restaurant di tutta Italia inserendo la propria città e scegliendo a seconda di cosa offrono i padroni di casa, o Vizeat altro portale che in Francia, dove è nato nel luglio 2014, è partner ufficiale dell’ufficio del turismo di Parigi e di Atout France, per la sua capacità di ampliare l’offerta ricettiva del territorio. Diversamente che in Italia, come spesso accade, i cugini francesi vedono nelle novità delle opportunità e provano ad incoraggiarle facendole diventare modo e motivo per unire e socializzare.
Altri sono i fenomeni paralleli, importati dall'estero, tra cui il “Supper Club”. Si tratta in pratica di trasformare la propria cucina in un ristorante estemporaneo che offre un servizio in base alle proprie capacità organizzative ed economiche e ovviamente in base alle possibilità logistiche. Pubblicizzato via internet, spesso con il mezzo un po' massone della “segretezza”, è diffusissimo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna e prevede che gli ospiti possano cucinare insieme al padrone di casa, seguire corsi di cucina o partecipare a cene a tema e, terminato il tutto, limitarsi ad offrire una “donazione suggerita” portando via la bottiglia di vino o il dolce non consumato.
Nel frattempo queste cene continuano? In caso affermativo, sono da considerarsi clandestine e illegali? Non è forse l'Italia il paese più famoso e prolifero di divieti? In attesa della prossima mossa da parte degli enti preposti, non si escludono ricorsi e tanto lavoro per gli avvocati, magari discutendone proprio a cena con i diretti interessati.