PERBACCO
Breve storia della viticoltura in Sicilia, dalla coltivazione ad alberello alla controspalliera. Così l'Isola si è rilanciata da una produzione mediocre al successo sul mercato
Se l'uva salva il territorio
A fine anni 50, inizio 1960, l’esigenza di meccanizzare e specializzare quanto più possibile la viticoltura, portò l’introduzione di forme d’allevamento della vite (controspalliera) di maggiore produttività quantitativa, rispetto alla forma tradizionale ad alberello, che verrà da questo momento abbandonato.
Inoltre, si ebbe un’ulteriore riduzione dei tipi di vitigni coltivati, che si localizzarono in ben definite aree geografiche, così denominate zona dello Zibibbo: isola di Pantelleria, zona dei Catarratto: provincia di Trapani, zona del Perricone ed Inzolia: provincia di Agrigento, zona del Nero d’Avola e del Frappato: provincia di Ragusa e Siracusa, zona del Nerello Mascalese e del Carricante: Etna, zona del Nocera, Nerello Cappuccio e Mascalese: provincia di Messina, zona della Malvasia: Isole Lipari (Salina).
Negli anni 70 la Sicilia vitivinicola vive un’importante riconversione tecnica con cui s’introduce, soprattutto nelle province di Agrigento, Palermo e Trapani, una forma di allevamento della vite ancora più produttiva della controspalliera: il tendone. Contestualmente al tendone vengono introdotte e diffuse varietà ad elevata produzione per vite, come il Trebbiano toscano, a bacca bianca, e nuove pratiche colturali, quali l’irrigazione, che permise di estendere la viticoltura in zone, soprattutto della Sicilia occidentale, mai destinate prima alla viticoltura e tradizionalmente adibite alla cerealicoltura ed alle leguminose.
Il considerevole e repentino aumento della produzione viticola favorì la costituzione di organismi associativi per l’ammasso e la vinificazione delle uve da vino: le cantine sociali. Esse hanno ancora oggi un ruolo fondamentale, specie nella Sicilia occidentale, dove sono conferite la maggior parte delle uve prodotte in quelle zone.
I nuovi sistemi d’allevamento della vite, a controspalliera e tendone, si sono ormai diffusi nel territorio siciliano in sostituzione dell’alberello, che nel tempo sembra essere destinato a scomparire completamente.
Le maggiori professionalità enologiche degli anni 70 ed 80, consentirono il passaggio da una vitivinicoltura tradizionalmente orientata alla produzione di vini da taglio, dalle alte gradazioni alcoliche, poco adatti al consumo diretto, anonimi ed assoggettati alla richiesta di altre regioni italiane ed estere, ad una vitivinicoltura sempre più indirizzata a produrre vini di qualità per il consumo diretto e per l’imbottigliamento.
Ma il notevole aumento delle produzioni ad ettaro delle superfici vitate, spesso a causa di tecniche di coltivazione orientate alla quantità e l’impiego di vitigni molto produttivi, portò all’instaurazione di un meccanismo perverso ed oneroso che in parte ancora persiste: la distillazione delle eccedenze di vino al fine di bonificarne il prezzo. Negli stessi anni si verrà a determinare una grave crisi del settore vitivinicolo comunitario con notevole riduzione dei prezzi del vino.
La Sicilia, oggi, con un’estensione di oltre 142 mila ettari vitati e mediamente circa 8,5 milioni di ettolitri di vino, è una delle regioni più importanti nel panorama vitivinicolo italiano. In valore, si calcola un giro d’affari di circa 500 milioni euro, con più di 30 mila unità impiegate nel settore.
La filiera vitivinicola siciliana, in questi anni, è oggetto di una nuova ristrutturazione vitivinicola orientata alla produzione di vino di qualità idoneo all’imbottigliamento.
La ricerca e le sperimentazioni di enti regionali del settore, tra tutti l’Istituto Regionale della Vite e del Vino, hanno innescato un nuovo processo produttivo ed evolutivo viticolo-enologico, che ormai, è assodato, pone la Sicilia, per la qualità, come regione vitivinicola emergente.
La nuova vitivinicoltura siciliana è orientata all’ottenimento non più di vini da taglio, vini sfusi o da distillazione, ma qualificate produzioni enologiche che imbottigliate (e quindi riconoscibili al consumatore) possono raggiungere tutti i mercati mondiali con un ottimo rapporto qualità/ prezzo.
Nei vigneti è in corso una riconversione varietale, con vitigni alloctoni, cosiddetti migliorativi, e l’introduzione di tecniche mirate alla produzione di uve da vino di qualità.
La vite è una pianta arborea che necessità di molte cure colturali, e quindi impone una presenza attiva e continuata del viticoltore nel fondo.
Oggi, con l’introduzione della meccanizzazione di quasi o tutte le fasi di coltivazione della pianta, il numero di giornate lavorative, anche se ancora importanti, si è molto ridotto (da 30 a 55 gg. annue per ettaro) rispetto ad una volta (circa 135 gg. annue per ettaro). La viticoltura proprio per questo impegno umano si può considerare una “pianta sociale” che impone la presenza dell’uomo sul territorio.
E per questo che in certe zone la viticoltura, oltre che interesse economico, svolge anche una funzione di salvaguardia del territorio, altrimenti abbandonato con gravi danni per l'ambiente e per le sue risorse naturali.
Salvo Foti