Parte del ricavato all'ospedale San Matteo di Pavia
Tra gli appunti segnati a penna, sul tavolo della grande cucina del Seminario di Noto, saltano subito agli occhi le parole chiave di una cena pensata per raccontare storie e culture di un tempo e di un luogo, impastate di terra e di vita, di profumi di stagione e atmosfere domestiche, braccia che lavorano e consuetudini che si consumano e si rinnovano attorno alla tavola familiare.
Il macco di fave, con il finocchietto selvatico, il fondente di pecorino e il pane di grano duro croccante, poi una pasta al forno con le patate, la salsa di sanapo e un ragù di verdure di stagione, il capone condito con ciuffi di cavolfiore, salsa di spinaci, porri allo zafferano. E poi il dolce, il “panettone” dell’inverno netino: un soffice di mandorla romano con fiordilatte all’arancia, marmellata di pompelmo rosa e salsa al mandarino.
Poi, tra i fogli sparsi, Corrado Assenza comincia a scrivere una traccia nuova, con ingredienti altrettanto antichi: l’importanza del cibo, l’importanza delle persone, la nostra vita, la nostra terra, la nostra cultura. Ispirazione e sentimento umano si intrecciano, nel lavoro a sei mani dei cuochi che oggi rappresentano l’identità gastronomica di Noto, roccaforte del pensiero indipendente sulla cucina siciliana contemporanea: Corrado Assenza, grande padre allo stesso tempo intransigente e generoso, e al suo fianco Salvatore Vicari del Ristorante Vicari e Marco Baglieri del Ristorante Crocifisso.
Così nasce una cena speciale, con una finalità speciale: quella che la cooperativa “Si può fare”, che gestisce progetti di agricoltura sociale nelle terre della Diocesi di Noto, ha organizzato come ogni anno per raccogliere fondi per beneficenza, ma che quest’anno ha assunto una connotazione più grande e più densa.
Salvatore Vicari, infatti, che era stato invitato come chef della serata, ha assunto l’iniziativa di trasformarla in un’occasione significativa per Noto e per la ristorazione che la rappresenta, invitando in cucina anche Corrado Assenza e Marco Baglieri a unire le forze per dimostrare che quei due valori – l’importanza del cibo e all’importanza delle persone – fanno grande qualunque impresa solo quando camminano insieme: così, una parte del ricavato raccolto andrà all’Ospedale San Matteo di Pavia, dove è stata in cura la piccola Aurora, la figlia di Marco, che purtroppo se ne è andata poche settimane fa.
Ecco che la cucina – con il suo più alto valore di nutrimento per il corpo e l’anima dell’uomo – sa trasformarsi in un modo per innescare reti di protezione e meccanismi di solidarietà, facendo di se stessa un dono che va ben oltre il tempo in cui si sta seduti alla stessa tavola.
E Noto si rivela, com’è cresciuta sotto traccia in questi anni, una scuola non di tecnica né di creatività culinaria, ma innanzitutto di umanità e di idee che nascono sulle onde di una reciproca sintonia tra chi se ne fa interprete. Idee sul modo di stare al mondo, prima ancora che sul modo di stare dietro i fornelli: “Siamo consapevoli – racconta Salvo Vicari – di essere portatori di una visione scomoda, che ci conduce su strade più lunghe e tortuose di quelle consuetudinarie e che talvolta rischia di apparire aliena. Ma la libertà che ci contraddistingue nelle nostre relazioni umane e professionali è anche l’approccio che caratterizza il nostro stile”.
Un approccio di cui il menu di una cena di solidarietà si è fatto, certamente ben oltre le intenzioni, carta di identità e manifesto ideologico, portando in sé il legame tra la semplicità delle cose e la grandezza del cuore con cui le si fa. “Ogni elemento – racconta ancora Vicari – è stato scelto per parlare del nostro territorio, di noi, della cultura che ci rappresenta, della coerenza tra ciò che facciamo in cucina e ciò che ci circonda. Del cordone ombelicale, se vogliamo, con una terra che ci richiama a sé con la generosità di ciò che ci offre: una lacerazione continua, che torna a richiudersi in un tessuto cicatriziale sempre più forte e radicale. E per dimostrare come davvero il cibo possa essere un veicolo che salda tra loro le coscienze degli uomini. Non c’è dunque contesto migliore del convivio, rito atavico della fratellanza, luogo in cui le storie di vita si incontrano e si trasformano, per far viaggiare (e non solo in questo particolare periodo dell’anno) determinati messaggi”.
C.d.G.