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Scenari

L’associazione italiana sommelier fa 50 anni

07 Luglio 2015
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di Daniele Cernilli, DoctorWine

Quando leggo che quest’anno l’Associazione Italiana Sommelier compie cinquant’anni i ricordi cominciano ad accavallarsi nella mente. Io sono nato nel vino con l’Ais. Per una serie di coincidenze fortuite e fortunate.

Nel 1979, ventiquattrenne, vivevo ancora con i miei genitori in una casa del quartiere Appio Latino, a Roma. A qualche centinaio di metri c’era piazza Zama, e proprio lì il ristorante di Severino Severini, simpaticissimo oste marchigiano, che aveva ottenuto una stella Michelin ed era il fiduciario del Lazio per l’Associazione Italiana Sommelier. Il suo era anche il locale dove qualche volta mio padre ci portava la domenica a pranzo.
Quando Severino scoprì che mi stavo appassionando al vino mi disse “vieni subito a fare il corso da sommelier, ne abbiamo uno in partenza presso la Camera di Commercio di Roma, a via de’ Burrò, vicino piazza Colonna. Ma vieni subito a iscriverti perché la prima lezione è tra qualche giorno…”. Mi iscrissi, nel marzo del ’79, ed ebbi come compagni di corso alcuni famosi ristoratori romani dell’epoca. Elio Mariani di Checchino, Mimma Ferrara Bastianelli, Alberto Ciarla. Qualcuno che non c’è più, come Ezio Bastianelli e come Mario Camerucci della Trattoria Monti, due cari amici. Fu un’infornata formidabile, che avrebbe dato una vera sferzata al mondo del vino di Roma. Frequentai con passione, studiando, assaggiando, confrontandomi con chi ne sapeva più di me.

Tra i docenti di servizio ricordo Angelo Bruschi, tessera numero 12, mi pare. Un Sommelier, con la “s” maiuscola. Originario di Casalpusterlengo, si era trasferito a Roma da molti anni, lavorando all’hotel Massimo d’Azeglio, che allora aveva un ristorante famoso. Mi insegnò letteralmente ad aprire una bottiglia con il cavatappi professionale. Mi insegnò i primi rudimenti dell’abbinamento, e soprattutto a non sparare giudizi a vanvera, per il solo gusto di fare sensazione. Un grande maestro che ricordo con infinito affetto. Morì lo stesso giorno di Veronelli, e in ventiquattrore persi due fondamentali figure della mia formazione enogastronomica.

Certo, quella era un’Ais pionieristica. Aveva poco più di tredici anni di vita. Era l’Ais di Franco Colombani, indimenticabile “patron” del Sole di Maleo e di Franco Tommaso Marchi, carismatico segretario nazionale. Era l’Ais di Walter Filipputti e di Fabrizio Pedrolli, di Angelo Solci e di Antonio Piccinardi, che curava la didattica. Era l’Ais di Beppe Monchiero del Daniel’s di Alba, di Piero Sattanino, di Teodoro Bugari di Dino Boscarato. I giovani leoni si chiamavano Lucio Pompili, Edi Furlan, Giuseppe Vaccarini, forse anche Sandro Sangiorgi che a Latina, sedicenne, imparava a tenere in mano un bicchiere nel ristorante di suo padre.

Era un’Ais romantica e appassionata, che organizzava corsi ovunque, come ora, ma in modo molto più rocambolesco, con sedi attrezzate alla buona, e non in grandi alberghi o in “location” prestigiose. Certo, a Milano era diverso, tutto era più avanti. Ma la “periferia” era un’altra cosa.
Nei primi anni Ottanta mi capitò di andare a fare lezione in provincia, a Rieti, a Montefiascone, dove se si riuscivano a mettere insieme venti persone era già un successo. Ma la cosa fondamentale fu la diffusione della didattica Ais, la prima realmente codificata, basata su elementi solidi, con lezioni che prevedevano contenuti simili ovunque. E’ stato un modo per avvicinare larghe fasce di persone al mondo del vino, e nessuno in Italia, editore o associazione che fosse, ha svolto un compito paragonabile a quello dell’Ais in questo mezzo secolo. E’ per questo che l’Ais, per tutti coloro che si occupano di vino, merita l’appellativo di “Mamma Ais”, perché ha svolto un ruolo formativo ed educativo importantissimo, come quello delle madri per i figli.
Perciò oggi, 7 luglio, festeggiamo con gioia i cinquant’anni dell’Associazione Italiana Sommelier, sperando che tutto continui per il meglio per molti anni. Tanti auguri Mamma Ais!