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L'evento

Show-cooking, pic-nic, prodotti della tradizione romagnola. Al Meni chiude col “botto”

22 Giugno 2015
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da Rimini, Ilaria de Lillo

Si è chiuso ieri sera il tendone felliniano di Al Meni allestito sul lungomare di Rimini, l’evento di show cooking e street food che ha regalato tre giorni di portate preparate da chef italiani e internazionali.

Per omaggiare turisti e appassionati con un pic-nic domenicale, il Grand Hotel ha preparato la déjeuner sur l'herbe a cura di Claudio Di Bernardo, chef dell’hotel, Roberto Rinaldini e la troupe capeggiata da Massimo Bottura all’interno del giardino della splendida struttura liberty.

“Rispetto alla scorsa edizione abbiamo triplicato il numero di visitatori – ha detto Di Bernardo -. Questo dipende sicuramente dalla passione per il cibo, buono, ben preparato, di qualità e locale, ma anche dal fatto che noi in quanto operatori della ristorazione cerchiamo di garantire un servizio di eccellenza. Siamo come attori che recitano un copione in un film, siamo al centro dell’attenzione e vogliamo garantire il meglio ai nostri spettatori”.


(Lo chef Claudio Di Bernardo)

Spettatori e commensali che sono sempre più esigenti, informati rispetto a ciò che mangiano e sulle tendenze della cucina moderna. “Oggi c’è più cultura tra i clienti, tutti sanno cos’è il macrobiotico o la cucina molecolare, si documentano ed esigono molto. Questo per noi è uno stimolo a fare sempre meglio, a ricercare giorno dopo giorno l’eccellenza e qui a Rimini, dove c’è una radicata cura dell’ospite, accoglienza e servizi efficienti posti in prima linea per soddisfarlo, abbiamo il dovere di continuare a investire le nostre energie e creatività per fare sempre di più e puntare in alto”.

Stesi sull’erba con il cestino da pic-nic o ai tavoli in giardino gli ospiti hanno potuto attingere ad un banchetto variegato, dall’english breakfast alla colazione dolce italiana (ricchissima e impeccabile firmata Rinaldini), passando per antipasti locali di salumi, formaggi, crescenza e pane lievitato con lievito madre prodotti dall’azienda di San Patrignano, poi insalate di verdure e di mare, piatti freddi estivi e leggeri, primo di risotto allo zafferano e il barbecue con salsicce, costine e hamburger. “L’identità che ho dato al menu del Grand hotel deriva dal mio percorso personale congiunto all’ascolto costante del cliente. Sapere quello che cerca, ciò che gli piace, è fondamentale per guidarmi nella scelta dei piatti da proporre. Il menu infatti è molto internazionale, una cucina europea e mitteleuropea ma anche casalinga dal momento che il terroir lo richiede e gli stessi turisti amano il “tasty” della nostra cucina saporita”.

E nella varietà di ospiti c’è anche un ulteriore dinamismo richiesto agli chef derivante dalla crescente percentuale di intolleranze e scelte di stili alimentari quali vegetariani, vegani, paleo ecc. “Questo complica le cose, il lavoro per noi raddoppia ma anche questa è una sfida produttiva. Dobbiamo fare molta attenzione a documentarci e aggiornarci continuamente, non possiamo più vivere solo dei nostri cavalli di battaglia”. Tuttavia, un must che in tutto il mondo viene apprezzato dai clienti è la semplicità con gusto, un piatto spartano che riesca ad avere quel sapore che lo rende distintivo, come le patate a vapore di Di Bernardo. “È un piatto di una semplicità mostruosa, ma che piace perché arricchito con prodotti locali e quando lo propongo qui o all’estero riscuote sempre un grande successo: si tratta di una patata svuotata e poi farcita con formaggio fresco e formaggio di fossa (sempre per valorizzare il prodotto nostrano) cotta a vapore e servita con scaglie di tartufo e ancora formaggio di fossa”

Ad accomunare la clientela è il desiderio di informarsi secondo una vera cultura del cibo scoprendo come viene fatto ciò che mangiano e amano tanto della Romagna. “D’estate durante il buffet prepariamo un tavolo con una sfoglina che prepara la pasta mentre gli ospiti mangiano ed è bellissimo vedere che dalla contessa al turista russo c’è entusiasmo nel provare a riprodurre quest’arte, si respira proprio la cultura del cibo”. Il segreto è ascoltare le nuove esigenze a tavola senza perdere di vista l’importanza della tradizione. “Ognuno di noi deve ricercare l’eccellenza della propria cucina, questo per me è gratificante”.