Presentato oggi il rapporto Sofi 2015: 72 paesi in via di sviluppo su 129 monitorati hanno ridotto della metà il numero di persone che soffrono la fame
da Roma, Francesca Ciancio
Il rapporto Sofi 2015 sull'insicurezza alimentare, presentato oggi dalla Fao a Roma, si apre con una buona notizia.
Il numero di persone nel mondo affette da malnutrizione si è ridotto di poco più del 13 per cento. Manca un 1,5 per cento al conseguimento degli obiettivi posti dall'agenda 2015 (programma obiettivo del Millennio 1990-2015).
Insomma, l'obiettivo “fame zero” è ancora lontano – dead line per il 2030 – ma i risultati lasciano ben sperare, soprattutto in chiave di impegno congiunto. Come ha sottolineato infatti José Graziano da Silva, Direttore Generale della Fao, tra i 129 paesi monitorati, 72 di questi hanno già raggiunto il primo obiettivo del millennio, ovvero ridurre della metà il numero di persone che soffrono la fame. All'appello mancano ancora 800 milioni di persone, ma rispetto al biennio 1990/1992, 216 milioni di persone sono uscite dalla malnutrizione, che vuol dire circa una persona su nove.
I problemi più grossi rimangono nei paesi a reddito medio dove non esistono ancora delle buone politiche inclusive. “La crescita economica è un fattore importante – ha spiegato da Silva – ma non può essere l'unico obiettivo. Bisogna agire sulle crisi prolungate – vedi alla voce conflitti e calamità naturali – e su politiche sociali inclusive. I 72 paesi che hanno raggiunto lo scopo hanno lavorato bene soprattutto sulla promozione delle zone rurali, dove, paradossalmente, persistono i maggiori problemi di insicurezza alimentare”.
Josefina Subbs, vicepresidente dell'Ifad (fondo internazionale per lo sviluppo agricolo) fa eco al direttore della Fao chiedendo un maggiore impegno da parte dei governi negli investimenti finanziari. I 3/4 della popolazione con problemi di malnutrizione vive in zone rurali, eppure il 50 per cento dei beni alimentari proviene proprio da questa parte della popolazione. Aiutarla significa investire in una sostenibilità generale. Ma come? Facilitando gli accessi ai mercati internazionali, favorendo finanziamenti, aiutando la conoscenza, a partire da programmi scolastici. Insomma, fare in modo che si passi da condizioni di sussistenza a economie di guadagno. Tutto questo senza dimenticare la cura dell'ambiente.
Stanlake Samkange, direttore della divisione Politiche e Programmi del Wfp (Word Food Programme) ha ribadito come, nonostante le buone notizie, non sia ancora tempo di festeggiare. Esistono ancora forti disparità tra regioni, come nell'Africa subsahariana, dove i dati su fame e malnutrizione hanno registrato un aumento. Inoltre una persona su 5 vive in paesi afflitti da crisi prolungate, fattore che non aiuta le opportunità di reddito. La missione è quella di salvare il pianeta senza lasciare nessuno indietro, per questo nell'azienda post 2015 il concetto di universalità è fondamentale.
Da Milano è intervenuto anche Maurizio Martina, ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Un collegamento dall'Esposizione Universale non casuale, come ha sottolineato il ministro: “Anche oggi il sito Expo è pieno di scolaresche perché il richiamo al valore educativo di questa esposizione è fondante. L'obiettivo della ‘fame zero’ deve coinvolgere ciascuno di noi, a partire dai più giovani. I primi di giugno, inoltre, Expo ospiterà il Forum Internazionale sull'Agricoltura, con la presenza di 100 paesi e 350 delegati. Questo per dire quanto io sia d'accordo sulla ricaduta positiva della società rurale sul benessere generale. Si discuterà di come sostenere – anche con azioni nuove – i piccoli produttori, come implementare il rapporto tra innovazione e sviluppo rurale, come accrescere il binomio ecologia e agricoltura”.
Una sintesi del report Sofi 2015 è toccata a Jomo Kwame Sundaram, vice direttore generale per lo sviluppo economico e sociale della Fao: “I dati parlano di 795 milioni di persone denutrite, 15 dei quali in paesi in via di sviluppo. Le regioni più affamate sono quelle dell'Asia minore e dell'Africa Subsahariana, mentre va meglio in posti come l'Asia orientale e l'America centrale. I paesi virtuosi hanno registrato, in questi anni, un miglioramento dei redditi, una crescita occupazionale, reti sociali di protezione più estese, accesso ai mercati internazionali. Continuano a essere importanti gli aiuti internazionali che, tuttavia, sono destinati per l'80 alle emergenze. Ciò deve persistere, ma bisogna ridistribuirli meglio per creare produttività e opportunità economiche, creare resilienza. Infine i costi della fame: parliamo di tre trilioni di dollari necessari a sradicare il fenomeno, che, nel suo complesso, è pari al 5 per cento dei risultati economici globali. Altrettanto dura la lotta all'obesità – l'altra faccia della malnutrizione – che costa al pianeta 2 trilioni di dollari”.