Un nobile vino da una nobile famiglia. Tempranillo, Merlot e Nero d’Avola, IGP Terre Siciliane.
Sgombriamo subito il campo a qualche malpensante dei nostri quattro lettori: il titolare dell’azienda nonchè la sua famiglia non sono nostri attuali parenti malgrado l’omonimia, anzi non ci conosciamo nemmeno. Siamo costretti a questa chiaritrice premessa in quanto alla fine parleremo bene del vino recensito.
Chiusa la parentesi cominciamo col dire che la famiglia Paternò Castello di San Giuliano risulta tra le più antiche di Sicilia, aggiungendo che tra Siracusa e Catania possedeva circa 3.000 ettari, la maggior parte ad agrumeti. Il Marchese Antonino fu anche Ministro degli Esteri nel 1914. La riforma agraria del secondo dopoguerra falcidiò la proprietà che rimase di soli 60 ha di cui 50 sempre di agrumi. Per fortuna a San Giuliano di Villasmundo era rimasta la dimora padronale circondata da un meraviglioso e premiato giardino ornamentale.
Nel 1998 furono acquistati 230 ha in contrada Curcuraggi, in quel di Melilli (Sr) in cui sono stati impiantati altri 50 ha di agrumi e dove insistevano 13 ha di vecchi uliveti. Vigne niente fino al 2005 quando un amico, Peter Vinding-Diers noto enologo danese che aveva lavorato in mezzo mondo, facendo visita al Marchese Giuseppe vide questi terreni situati a 240 metri sul mare, sempre ventilati e asciutti, calcari misti a relitti vulcanici, leggermente inclinati verso sud-est, e affermò che era il luogo ideale per coltivare il vigneto e fare grandi vini. A Vinding piacque tanto questo angolo di Sicilia che vi si trasferì dedicandosi anche lui in proprio a coltivare uve e a fare vini.
i vigneti ad alberello
Così su consiglio di Vinding sono stati impiantati 8 ha di Tempranillo, Petit Verdot, Merlot, Nero d’Avola, Grenache Gris e Noir, Syrah e Cabernet Franc. L’intento era di fare solo grandi vini per cui in un’epoca dedicata alla spalliera le viti sono state messe ad alberello con 7.500 piante/ha ed in asciutto. Coltivazione in pratica biologica anche se Antonio Mandolfo, agronomo la cui famiglia da 3 generazioni si occupa della conduzione della campagna, non vuole combattere con la burocrazia delle certificazioni, che invece si hanno per buona parte degli agrumeti dai cui frutti Giulia Paternò, la figlia di Giuseppe, confeziona marmellate particolari. Presto i vigneti saranno portati a 13 ha.
I vini sono distribuiti in 3 etichette: San Giuliano, Belluzza e Il Pastore, creati secondo un principio elementare ma efficace: i vini migliori di ogni annata, a prescindere dal vitigno, entrano a far parte del San Giuliano, i secondi del Belluzza e così via. Oggi il Marchese Giuseppe confeziona solamente da 10.000 a 15.000 bottiglie, risultato di una produzione particolarmente ridotta, ottenuta quasi col solo piacere di farlo. Contemporaneamente ai vigneti è stata realizzata la cantina riattando antichi fabbricati. Peter Vinding continua a dispensare consigli da enologo e in cambio si serve della cantina per i propri vini.
Tutte le attenzioni, dalla coltivazione all’affinamento, sono rivolte all’ottenimento di vini atti all’invecchiamento. Le uve dei vari vitigni sono vinificate separatamente fermentando con lieviti spontanei e senza aggiunta di solfiti in tini di acciaio con ampia bocca aperta. L’affinamento da 6 a 8 mesi in barrique di secondo uso dove avviene la fermentazione malolattica. A questo punto si procede all’assemblaggio secondo la qualità e all’imbottigliamento dopo una leggerissima filtrazione, nessuna chiarifica e un’aggiunta di soli 25 g di solfiti. Un riposo in vetro di non meno di 2 anni. Se l’annata non è ottima, com’è d’uso per le più blasonate cantine, non si fa il primo vino, il San Giuliano, che infatti non è stato confezionato nei millesimi 2010 e 2011. La vendita è rivolta molto all’estero.
Ora veniamo all’assaggio del Belluzza che prende il nome da uno dei 2 fiumi che attraversano la proprietà. Versato nel calice il colore è rosso rubino abbastanza carico e brillante. All’olfatto balza una forte intensità di note complesse e ricche: confettura di amarene, frutti di bosco, more, ginepro, menta, pepe nero, noce moscata, erba secca, in un bouquet elegante, privo di difetti. Al gusto ha una bel corpo, un’ottima struttura, una viva acidità che si accompagna a tannini vellutati; è armonico, fragrante con un finale amarognolo molto lungo. Un gran vino.
Abbiniamolo anche a piatti di robusta costituzione come un primo con ragout di cinghiale o almeno di maiale, una salsiccia ai ferri, un ragusano stagionato. Sono 5.000 bottiglie a 15 euro in enoteca.
Marchesi di San Giuliano |
Recensioni Rubrica a cura di Salvo Giusino |