Ampliamento della Doc Etna, si o no? Il dilemma continua a ronzare fra le teste degli addetti ai lavori all’ombra del Vulcano più alto d’Europa.
La Doc Etna, oggi, comprende 655 ettari, ma cresce rapidamente, soprattutto negli ultimi anni, con l’aggiunzione, in media di 50 ettari l’anno.
“Qui stiamo parlando di una delle Doc più antiche d’Italia – dice Giuseppe Benanti, produttore di Viagrande -. Ce l’abbiamo dal 1968 e dobbiamo dire grazie al professor Nicolosi che ha avuto questa geniale intuizione”.
Benanti, cervello fine, risposta pungente, senza peli sulla lingua, in linea di massima non sarebbe contrario ad un ampliamento della Doc: “Io, però, penso alla Docg. Ne sono un vero e proprio tifoso”. L’ampliamento della Doc, per Benanti, non andrebbe in netto contrasto con l’istituzione della Docg, “anzi darebbe la possibilità di individuare le capacità espressive di altri territori”.
Già, perché l’Etna, non è un solo terroir. “L’errore sta alla base – spiega Benanti -. L’Etna è ta0nte cose in uno. Posso avere vitigni a Biancavilla, Bronte, Randazzo, Viagrande o Milo, tutti daranno un vino diverso. Non solo per la cenere del vulcano che, passatemi il termine, concima i terreni, ma perché, lì magari ci sono resti delle eruzioni del 1400, che daranno certi minerali a quel terreno, mentre in altri posti si trovano resti di eruzioni più recenti, che cederanno altri minerali ancora”.
Ed ecco l’intuizione di Benanti: “Facciamo ‘vini della curiosità’ – dice – non so, ci mettiamo sopra una diversa indicazione geografica, che comunque riporti a questi luoghi, non gli diamo il marchio Doc, ma iniziamo a produrre vino con vitigni alloctoni (ossia non del luogo, ndr), per dimostrare di come l’Etna riesca ad intervenire in maniera decisa sulla riuscita di un vino, che avrà caratteristiche uniche e diverse da territorio a territorio, ma soprattutto non sarà replicabile da nessun’altra parte”.
Per Benanti, infatti, uno Chardonnay o un Sauvignon blanc prodotti in questi territori sarebbero unici e potrebbero dare il via ad una nuova ed interessante nicchia di mercato.
La Doc, per Benanti, può essere allargata, “ma deve rimanere comunque sempre all’ombra del vulcano e comprendere solo vitigni autoctoni (del posto, ndr). Qui bisogna ancora comprendere che non siamo concorrenti, ma colleghi, perché ognuno di noi produce vini completamente diversi, ma l’estensione della Doc deve avvenire solo fin dove c’è la lava”.
Poi la chiusura con un piccolo attacco ai colleghi produttori dell’Etna: “Dovremmo anche imparare a produrre eccellenze, puntare tanto su queste – dice -. Invece, ormai, credo che ci sia una sorta di assestamento. Si fa qualità, per carità, ma sarebbe il caso di emergere”.
G.V.