Carricante 80% e Catarratto brut Metodo Classico.
I vini dell’Etna sono sempre più apprezzati per cui da alcuni anni si assiste all’invasione da parte di aziende provenienti da altre zone della Sicilia, dell’Italia e non solo, se non addirittura da parte di imprenditori di altri settori che con l’uva non c’entravano niente che acquistano vigneti o terreni dove impiantare viti e se c’è la capienza anche a realizzare la cantina. Oggi però ci dedichiamo ad una delle aziende più antiche, una di quelle che ha fatto la storia del vino dell’Etna, una delle prime ad imbottigliare.
le antiche bottiglie
Infatti era il 1860 quando i Russo di Giarre iniziarono a coltivare le vigne a Solicchiata nel versante nord del vulcano ed a commercializzare uve. Nel 1955, esattamente 60 anni fa, Don Ciccio Russo capì che il futuro fosse nella qualità, che bisognava vinificare e mettere in bottiglia il frutto del proprio lavoro. Nacque così la cantina, anche se a Giarre perchè a Solicchiata non c’erano ancora efficaci infrastrutture, e nacque la prima etichetta che si chiamò Vino di Solicchiata sotto il marchio Rusvini. Allora la DOC Etna era ancora e forse solo nelle menti per cui si dovrà aspettare il 1968 per averla.
Vincenzo Russo
Nel frattempo l’azienda dei Russo cresceva ed era Vincenzo che la portava avanti oggi affiancato dai figli Francesco che fa l’enologo e Gina che si occupa del marketing.
Gina e Francesco Russo
Gli ettari sull’Etna sono diventati 12 a quote tra i 600 e i 1000 metri in un clima ventilato da montagna e terreni molto drenanti formati da colate laviche diverse. Non c'è formazione di muffe e gli unici trattamenti sono dati da rame e zolfo. Si aggiungono 10 ettari a Sambuca di Sicilia (Ag) dove esistono il Nero d’Avola, il Syrah e l’Insolia. Nel 2009 entra in funzione la nuova cantina in mezzo ai vigneti etnei e negli ultimi anni si è ridotta la produzione per razionalizzarla e migliorarne la qualità. Le etichette sono 14 e le bottiglie 120.000.
Castiglione di Sicilia visto dalla cantina
Francesco ama dedicarsi allo spumante Metodo Classico facendo un Rosé ed un Blanc de Blancs che descriviamo. La prima vendemmia per il vino base nel 2010 quando arrivò fin nella zona la cenere proveniente da un piccolo cratere a depressione che si era formato nel versante sud. Questi crateri vengono appellati Pit Craters per cui a Francesco venne spontaneo chiamare quel vino atto a divenire spumante “il mio Pit” donde il più elegante Mon Pit. Il vino è ricavato dalle vigne a quota 670 metri, in contrada Crasà, vicino alla cantina, con fermentazione a temperatura di 16-18°. Particolare cura è prestata ai lieviti per la fermentazione che necessitano di un attento acclimatamento in una miscela particolare di zucchero di canna, acqua e vino per formare il cosidetto pied de cuve che servirà per la fermentazione della massa.
il pied de cuve
La sosta sui lieviti dura da 24 a 36 mesi e dopo il dégorgement nonchè l’aggiunta della liqueur d’expedition altri 2 anni di riposo per cui l’ultimo millesimo in commercio è il 2011. Il residuo zuccherino è poco più di 6 grammi quindi quasi coincidente al limite inferiore del brut.
Versato nella flûte il colore è paglierino allegro, il perlage molto fine e persistente. All’olfatto è leggermente floreale con note di fiori d’arancio e gelsomino a cui si affiancano crosta di pane e mandorla tostata. E’ fine, elegante, intrigante. Al palato la carbonatica continua ad essere fine da spumante di classe; non dà l’impressione di essere tanto secco e avvolge la bocca con una buona struttura, un rotondo equilibrio, confermandosi di fascino e lasciando il palato leggermente e piacevolmente mandorlato. Uno spumante interessante. Mi corre di aggiungere che anche a distanza di 2 giorni dopo l’apertura della bottiglia lo spumante si è mantenuto frizzante, cosa non facile.
Si apprezza come aperitivo o a tutto pasto e particolarmente consigliato con i crostacei. 5.000 esemplari che in enoteca trovate a 25 euro.
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Recensioni Rubrica a cura di Salvo Giusino |